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Cosa accade quando riceviamo una diagnosi di malattia? Il caso dell'ipertensione essenziale


Immaginiamo di trovarci di fronte queste due persone:

- Marco, 40 anni, su una sedia a rotelle a causa delle conseguenze di una meningite. Lavora come contabile in un'azienda privata, guida, nuota nel tempo libero e ama viaggiare con gli amici. E' malato? Si sente malato?

- Giorgio ha 38 anni, una laurea in giurisprudenza, ha un suo studio da avvocato ben avviato, una bella moglie e due figli, ha due case, una in città e una al mare eppure da due mesi non esce da casa, ha smesso di lavorare perché dice di sentirsi apatico, privo di stimoli e interessi ed uscire lo mette in uno stato di agitazione. Soffre di gastrite e dorme poco la notte. E' una persona sana? Si sente sano?


La parola "malattia" evoca immediatamente nella nostra mente la "presenza di segni e sintomi fisici" più o meno gravi. Vien da sé che essere sani potrebbe voler dire "non avere alcun segno e sintomo", dunque Non essere malati!

In realtà non è così netta la differenza tra salute e malattia e i due concetti sono molto complessi e articolati. A dircelo è l'Organizzazione Mondiale della Sanità stessa, che definisce la salute umana come "uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale" (1948). Nel 2011 tale definizione è stata ampliata, includendo i concetti di "resilienza" ed "ecologia" e considerando la salute come “la capacità di adattamento e di auto-gestirsi di fronte alla sfide sociali, fisiche ed emotive”.


Salute e qualità di vita

I due esempi descritti sopra e le tre dimensioni della salute: fisica, mentale e sociale, rimandano al concetto di qualità di vita.

La qualità di vita è data da:

  • condizioni fisiche

  • efficienza intellettiva

  • stato emotivo

  • realizzazione sociale

  • senso di benessere e soddisfazione per la propria vita ("si, sento che sono soddisfatto, che sto proprio bene")

Nella realizzazione di una soddisfacente qualità di vita intervengono molte variabili capaci di influenzare una o più di queste aree.

È chiaro che nel percorso di vita di ognuno di noi, ci saranno degli elementi che possono favorire o meno, in una delle aree previste, la percezione di una buona qualità di vita o, al contrario, la percezione di una qualità di vita non soddisfacente.

Appare evidente come fattori fisici, per esempio la malattia, possano influenzare vissuti psicologici e sociali e viceversa.

La comparsa di sintomi e la diagnosi di essere malati, comporta l'assunzione immediata del cosiddetto ruolo di malato.


Il ruolo di malato


Quando andiamo dal medico e riceviamo una diagnosi si aprono immediatamente due strade:

- le prescrizioni farmacologiche e di indagine (accertamenti)

- le prescrizioni comportamentali (cambiare abitudini di vita, come la dieta)


Il contesto (il medico, i familiari, colleghi, etc), si aspetta che il malato si comporti in un certo modo: chi è malato deve comportarsi da malato. per esempio deve seguire tutte le prescrizioni, le analisi, le indagini, se magari entra in ospedale deve mettersi a letto, mettersi il pigiama e così via.

Nel ruolo di malato coesistono quindi obblighi e privilegi che avviano una sequenza di azioni e rinforzi tra malato e ambiente.


Cosa comporta essere malati? Riflettiamo su alcune considerazioni:

- la malattia non è voluta: in alcuni casi è molto facile cadere nella trappola del pregiudizio e pensare "se l'è andata a cercare". Proviamo a pensare ad un alcolista che si ammala di tumore epatico o di cirrosi; a una persona che ha l'AIDS o al fumatore con neoplasia polmonare. Anche se consapevoli dei rischi del loro stile di vita, certamente non cercavano la malattia e la morte!

- L’essere malato legittima comportamenti che esonerano l’individuo da obblighi e responsabilità sociali (“me l’ha ordinato il medico”). Quindi ciò che il medico ordina è qualcosa che va in qualche modo eseguito.

- L’esonero dagli obblighi (ad esempio l'esonero dal lavoro) è legittimato solo nella misura in cui l’individuo si impegna in comportamenti che indicano il suo desiderio di ritornare il più presto possibile allo stato di salute. In poche parole è una specie di contratto: “ok, riconosco che sei malato, che hai dei diritti, ma hai anche un dovere, cioè impegnarti a guarire, se non ti impegni a guarire decadi dai tuoi diritti e dalla mia considerazione”.

- Il ruolo di malato implica il cercare attivamente l’aiuto di operatori sanitari competenti e di collaborare.


Perché è difficile seguire le prescrizioni dei medici?

Se una persona sta male, va dal medico per star meglio, il medico gli dice che cosa deve fare, perché questa persona non dovrebbe seguire quello che dice il medico?

Può sembrare una domanda banale eppure molti pazienti abbandonano le terapie, non riescono ad essere costanti. Quanti riprendono a fumare dopo un mese dalla diagnosi? O non riescono a rinunciare alla propria dieta? o al proprio lavoro?

E' molto comune perdere la cosiddetta compliance, cioè l'aderenza al trattamento, anche in caso di patologie gravi.

Alcuni motivi sono legati a:

- gli effetti collaterali dei farmaci che alterano la qualità, lo stile e l'autonomia della vita di una persona

- le prescrizioni di tipo psicologico: le abitudini di vita sono atteggiamenti e comportamenti automatizzati, gratificanti, per questo è difficile modificarli.


La compliance varia a seconda del tipo di malattia e di diversi fattori:

  • Complessità del trattamento (numero, tipologia dei farmaci e loro somministrazione, il cambiamento delle abitudini, la riduzione dell'autonomia, l'imposizione delle regole di vita).

  • Durata del trattamento

  • Tempi per i primi risultati

  • Effetti collaterali

  • Fiducia nel medico e nella terapia


Un caso: l'Ipertensione essenziale


L'ipertensione essenziale, in caso di assenza di riscontro organico (ad esempio patologie cardiache accertate) è una delle patologie riconosciuta per la possibile origine psicosomatica.

Molto spesso è considerata come espressione di una condizione psicologica di “allarme”; la persona viene etichettata come “ansiosa”, giustificando così l'ipertensione.

Spesso viene definita una terapia che prevede la combinazione di farmaci specifici e farmaci ansiolitici.

E' una delle patologie a più bassa compliance, e questo sia per gli aspetti sintomatologici, sia per le prescrizioni farmacologiche con i relativi effetti collaterali che per le restrizioni comportamentali.

Spesso l'ipertensione è silente, quindi non ha sintomi. L'assenza di sintomi non motiva la persona a recarsi dal medico. Magari la persona si accorge per caso di avere la pressione alta (un leggero mal di testa che non passa, uno sbandamento, etc).

Quando la persona si reca dal medico partono poi le prescrizioni. E gli effetti collaterali dei farmaci sono uno dei principali deterrenti.

Uno degli effetti collaterali più frequenti dei farmaci è una riduzione della libido o comunque della capacità di rapporti sessuali. Poi ci sono le restrizioni comportamentali, per cui in realtà bisogna limitarsi in molte altre cose (eliminare il sale, il caffé, i cibi elaborati dalla dieta; smettere di fumare, evitare sforzi, ridurre gli impegni, etc).


Quali sono le possibili cause dell'ipertensione essenziale?

L'aumento della pressione, in assenza di cause organiche, può essere legata alla propria organizzazione di personalità, associata a condizioni lavorative/familiari/personali impegnative e stressanti. La tendenza al controllo, l'alto senso di responsabilità, la difficoltà a porre dei limiti alle richieste degli altri possono mantenere l'organismo in un continuo stato di allarme che comporta l'aumento della pressione sanguigna.


L'alleanza terapeutica con il paziente va costruita e mai data per scontata:

  • Importante conoscere il paziente e il suo contesto di vita per costruirla

  • Non esiste il “paziente ideale

  • Gestire il “ruolo di malato

  • Prescrivere farmaci in modo chiaro (per iscritto e con termini comuni)

  • Prescrivere comportamenti praticabili (tenendo conto del lavoro, della cultura, della condizione economica del paziente)

  • Dare tempo e gradualità per la modifica delle abitudini

  • Rinforzare le “conquiste” più che “punire” le infrazioni

  • Non sminuire le difficoltà e la sofferenza del paziente usando termini generici (“nervoso”, “psicologico”, etc);

  • Costruire un’alleanza terapeutica anche con i familiari affidando loro un ruolo di collaborazione e non di punizione o rimprovero





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