Dietro la diagnosi: la vita insieme a un Asperger
Ultimamente si sente sempre più parlare dei disturbi dello spettro autistico definiti come
Condizioni nelle quali le persone hanno difficoltà a stabilire relazioni sociali normali, usano il linguaggio in modo anomalo o non parlano affatto e presentano comportamenti limitati e ripetitivi.
Rispetto a soli 10 anni fa si sono fatti passi da gigante, tanto da istituire la giornata mondiale dell'autismo il 2 giugno per cercare di dare maggior risalto e consapevolezza a una fetta di popolazione spesso in difficoltà a causa dell'enorme velocità da cui è pervasa la società moderna.
Quest'oggi, però, non voglio illustrare questi disturbi, in particolare la sindrome di Asperger come studentessa di psicologia, ma come persona che lo ha vissuto in prima persona. Voglio che la gente sappia cosa significhi vivere determinate situazioni a discapito dal leggerle o dal sentirle solo da fonti talmente esterne da sembrare surreali.
Quando ero piccola, ero molto legata a mio fratello e cercavo sempre di stargli vicino, tanto da passargli anche la varicella. Ricordo che giocavamo sempre insieme ai videogiochi, per dividerci tra giocatore 1 e giocatore 2 dovevamo sempre incrociare le dita fra i tasti per poterci trovare.

Eppure sentivo che c'era qualcosa di diverso in lui rispetto agli altri bambini. Inizialmente non ci pensavo più di tanto, siamo sempre stati entrambi due bambini molto timidi e riservati e per me questo atteggiamento era praticamente la norma. Questo, infatti, ha creato non pochi problemi di socializzazione in ambito scolastico. In seguito capii che c'era qualcosa di diverso perché ci ritrovammo entrambi a fare la stessa classe ma in sezione diverse nonostante fosse un anno più grande di me. Rifece un anno di asilo per problemi al linguaggio, a tre anni non aveva ancora sviluppato a pieno un lessico adeguato a un bambino di quell'età. I miei genitori lo portarono a visitare da degli specialisti, Purtroppo erano gli anni 2000, questo genere di problematiche erano a malapena accennate e ci si limitò a dire "vostro figlio ha un semplice ritardo nello sviluppo, ma niente di grave". Di conseguenza il supporto che abbiamo avuto in seguito è stato d'aiuto, sì, ma non adeguato alla sindrome che gli apparteneva.
Si dice che le persone affette da sindrome di Asperger abbiano particolari difficoltà a livello sociale. Durante l'asilo e le elementari non era così, almeno dal mio punto di vista. Entrambi siamo sempre stati molto timidi e io stessa presentai le stesse difficoltà. Con il passare del tempo riuscimmo a stringere qualche amicizia e anzi piano piano iniziò anche a giocare con gli altri bambini. A casa era sempre molto allegro e c'erano le classiche liti fra fratello e sorella, non c'era niente che potesse far presagire qualcosa di "strano". L'unica cosa che notai è che manteneva sempre la stessa scrittura tremolante che negli anni non migliorava e che comunque mio padre doveva sempre aiutarlo a fare i compiti.

In seguito scoprii che era seguito da un'insegnante di sostegno, ma ovviamente le problematiche non erano una questione che riguardavano me o su cui comunque potessi essere informata in quanto ero solo una bambina.
La mia infanzia con lui la conservo stretta nel mio cuore, mi sono sentita una sorella come tutte le altre legata al suo fratellone e che sapeva di poter sempre contare su di lui. Ricordo buffamente che io andavo da mia madre a dirle che volevo una sorellina e lui invece voleva un fratellino. A pensarci ora mi fa molta tenerezza perché speravamo di cercare un complice del nostro stesso sesso, cosa che non è mai accaduta, siamo sempre stati io e lui.
Il periodo di rottura
Finite le elementari si è passati alle scuole medie. Periodo critico per molti, inclusi noi. Siamo finiti in due sezioni differenti. Per me era meglio così perché per molta gente io non ero Mariarosa, una persona, ero la sorella di Vincenzo. Molti mi identificavano con lui e la cosa mi infastidiva parecchio così come mi infastidiva che mi chiedessero tutti i suoi problemi personali (come mai fa la tua stessa classe? Ma siete gemelli? Come mai non parla con gli altri? E cose del genere). In qualche modo quella separazione mi permetteva, leggermente, di distaccarmi da questa condizione.
L'inizio della "rottura" del nostro rapporto non venne assolutamente per questi motivi, queste domande e queste identificazioni venivano fatte fin dai tempi delle elementari, ormai ci ero abituata. L'inizio della separazione fra di noi cominciò quando io iniziai ad entrare nel pieno dell'adolescenza, di me che volevo sperimentare, volevo conoscere gente, uscire e lasciar perdere sempre i compiti.
Mio fratello, d'altro canto, è come se in qualche modo si fosse ritrovato in una fase in cui fosse ancora alle elementari, in cui contava solo il dovere e questo tipo di interazioni sociali non era importante. L'aumento del carico di compiti per casa ha iniziato a renderlo molto più stressato e gli ha fatto iniziare uno studio molto più intenso che gli portava via ore e ore del suo tempo. In quel periodo iniziai a non stare bene a livello psicologico complici gli ormoni della fase adolescenziale e iniziai a non comprenderlo più e la cosa iniziò a diventare reciproca. In qualche modo quel rapporto molto stretto e dolce che c'era durante l'infanzia era sparito, non c'era più quella vicinanza fra fratello e sorella. Vivevamo sotto lo stesso tetto e ci volevamo bene come una famiglia, ma quell'affetto e quella voglia di stare insieme erano svaniti del tutto.
Il dubbio e la diagnosi
Per quanto percepissi questo forte distacco fra di noi, gli volevo bene e notavo sempre di più dei segni strani nella sua personalità.
Cominciai a notare che era diventato davvero molto chiuso, non sembrava interessargli avere rapporti con gli altri, concentrava il suo tempo sullo studio e ascoltava moltissima musica. Vedevo che ogni tanto borbottava qualcosa a bassa voce e aveva qualche spasmo.

In quel periodo cominciai a interessarmi alla psicologia e, cercando su internet, trovai la sindrome di Asperger. Mi sembrò di leggere l'identikit di mio fratello. Tutto quello che dicevano mi sembrava reale, mi sembrava proprio lui. Provai ad accennare qualcosa ai miei genitori, ma fu accantonato. Certo, era difficile credere alle parole di una ragazzina che leggeva i disturbi su internet, a distanza di 10 anni lo posso ben capire.
Sapevo, però, che nella nostra casa c'era un tabù e questo tabù era proprio la sindrome di mio fratello (che a quel tempo non aveva ancora un nome). Non riuscivo a capire il motivo per cui non se ne parlasse, il motivo per cui il tutto non fosse pienamente spiegato a mio fratello. Col senno di poi capii, i miei cercavano di proteggerlo da se stesso.
Mio fratello era una persona orgogliosa e avrebbe sofferto parecchio nell'avere la conferma di essere diverso dalle altre persone, che avrebbe avuto sempre bisogno del supporto altrui per comprendere determinate cose.
Non era una persona incapace, come alcune persone lo definivano, ma aveva bisogno di un'indicazione iniziale su dove andare e come, ma poi riusciva in autonomia a fare quello di cui aveva bisogno.
Mancava di flessibilità, se qualcosa non andava perfettamente come previsto si sentiva sperduto. A oggi so che era nato così e che lui stesso sentiva la difficoltà salirgli addosso.
Come scoprimmo che era veramente affetto dalla sindrome di Asperger?
Mio padre lo portò, sotto consiglio di un collega, a fare una visita psicologica e venne fuori il nome della diagnosi. Molto semplice, potrebbe dire una persona. Ma erano passati ben 15 anni dalla prima e mio fratello aveva compiuto 18 anni. Come potevamo dirgli la verità? La risposta brutale fu che non lo facemmo.
Vivevo bene questa situazione? Assolutamente no, non voglio mentire.
Sentivo il peso di nascondergli la verità, sapevo che c'era un nome alla sua diversità ma non avevo il supporto di tutta la famiglia per dirglielo e nemmeno io avevo il coraggio necessario per parlargli a cuore aperto. Non sapevo come l'avrebbe potuta prendere, così rimandai questa decisione a un futuro che, purtroppo, non avvenne mai.
La scomparsa e la presa di coscienza
Parto da una breve introduzione. Mio fratello quando finì le scuole superiori decise di non voler frequentare l'università. Infatti già alle superiori studiava, letteralmente, dalla mattina alla sera e non voleva aumentare ulteriormente il carico di studi su di lui, gli pesava tanto e gli causava molta ansia. Io ero d'accordo inizialmente, era palese che non stesse bene e nessuno lo forzò,
Tuttavia con il passare degli anni, complice anche l'ansia che non gli faceva pensare bene a cosa potesse fare della sua vita come "adulto", cominciò ad "arenarsi" e a fare le stesse cose in casa.
Un giorno mi capitò una pubblicità che parlava di questa scuola che era sovvenzionata dalla regione e che permetteva di imparare nozioni in informatica che potessero inserire gli studenti nel mondo del lavoro. Essendo sovvenzionato era completamente gratuito, era solo necessario passare le selezioni.
Proposi la notizia e tutti furono entusiasti della notizia, lui si iscrisse ai test e provò. Ricordo che era mogio mogio quando tornai a casa da lavoro, era convinto di non averlo passato. Stavo iniziando a credere che fosse così, che non le avesse passate perché mi aveva detto che non aveva risposto a molte domande e che su molte cose aveva risposto in maniera casuale.
Ma un giorno la bella notizia: fu ammesso!
Fui felicissima, era solo poco fiducioso nelle sue capacità! Sentivo che quella scuola sarebbe stato il suo trampolino di lancio e che sarebbe riuscito pian piano a trovare la sua strada
In seguito però la sua forte ansia e il suo forte terrore di non riuscire stavano prendendo il sopravvento e, il 3 febbraio 2021, mi chiese come mi trovassi all'università e come fu per me lasciare la prima (vengo da una prima esperienza non andata bene alla facoltà di informatica) perché era terrorizzato e voleva lasciare il corso. Scoppiò a piangere e io, dopo anni, lo abbracciai per cercare di consolarlo per fargli capire che piano piano con i giusti metodi ce l'avrebbe fatta anche lui.
Purtroppo così non fu.
Non ricordo quanto tempo dopo, sentii la porta di casa chiudersi. Tempo dopo scoprii di essere stata l'unica a sentire. Pare che mio fratello fosse sceso a buttare la spazzatura.
Riceviamo una chiamata al citofono in cui ci comunicavano che c'era un ragazzo che non si era sentito bene. Nessun nome o cognome. I miei non ci diedero peso.
In quel momento sentii uno strano peso sul cuore, era lui? No, non poteva essere. Con tutte le persone del mondo, no, ero solo in paranoia.
Suonano di nuovo. C'è un ragazzo davanti al mio garage. Di nuovo.
Al che mio padre decise di scendere per controllare cosa stesse succedendo.
Era lui.
Era mio fratello.
Ci vestimmo in fretta e furia e andammo a controllare.
Era disteso a terra e io non riuscivo a capire, cos'era successo? Il tempo sembrò fermarsi e per farla, si fa per dire, breve, quella sera ci lasciò.
Mi sono ritrovata figlia unica all'improvviso, dopo averlo abbracciato, come fosse un segno del destino.
Da allora una parte del mio cuore è andata via, qualcosa dentro di mi si è spezzato. Non sono qui per parlare di questo, sono qui per parlare di che persona fosse e di cosa ci fossimo persi in tutti questi anni.
Mentre noi prendevamo sotto gamba la sua fortissima passione per i videogiochi e i suoi amici virtuali, lui si era creato un suo mondo personale in cui si sentiva accettato, in cui era un punto di riferimento per gli altri e che lo accettavano per la persona speciale che era.
Quando comunicai la notizia della sua scomparsa ricevetti un sacco di messaggi di condoglianze, ma soprattutto di come si comportasse con loro. Salutava tutti dicendo "hello friend" e inviava loro sempre aggiornamenti sulla sua vita quotidiana che riguardava sia lui che noi. Teneva da parte sempre alcuni spiccioli per poi chiedere a me di usare la carta perché voleva fare dei regali ai suoi amici. A oggi ci sono ancora alcune persone che ci scrivono di quanto sentano la sua mancanza e mi fanno capire come in realtà non fosse così solo come pensavamo, semplicemente aveva trovato la sua dimensione sul web piuttosto che nel mondo "reale".
Si dice che le persone che hanno la sindrome di Asperger parlino poco. Mio fratello non parlava poco, anzi. Certo, non era espansivo e non aveva la chiacchiera facile, ma quando iniziava a parlare diventava un treno in corsa, su questo siamo sempre stati molto simili. Molto spesso ricordo che parlava così tanto e con lo stesso ritmo di voce che mi smarrivo e molto spesso lo dovevo fermare perché mi ero persa nei discorsi.
Si dice anche che le persone che hanno la sindrome di Asperger abbiano difficoltà a comprendere le intonazioni vocali e l'ironia. Non so dire come fosse con le altre persone, ma riusciva a comprendere i miei stati d'animo, riusciva a capire quando ero di cattivo umore e quando stavo bene. Ricordo che spesso cercava di trattenere un sorriso perché iniziavo a parlare in dialetto e, per rendere comica la situazione, aggiungevo molte esagerazioni nelle parole e nel tono di voce. Certo, l'ironia sottile per lui non era molto chiara, ma andava oltre i classici stereotipi.
Dopo la sua morte ho capito tante cose di lui, tante cose del suo mondo e ho capito quanto in realtà fosse importante per me e quanto mi manchi. Lui era solito fare le stesse cose, faceva sempre la stessa routine e davo la sua presenza per scontata, per me lui era sempre lì. Ero molto frustrata, non mi nascondo. Pensavo sempre al futuro, di come avrei dovuto gestire la situazione con lui perché è vero che su determinate cose era autonomo, ma aveva sempre bisogno di un supporto esterno. Non so cosa darei per ritornare indietro e riaverlo con me.
Oggi avresti compiuto 26 anni. Quando sei andato via ne avevi 24, come ne ho io ora. Fra un mese io ne compirò 25. Quando ero piccola desideravo ardentemente di essere della tua stessa età, se non superarti e sapevo che era impossibile, ma la prendevo quasi come un gioco, il pensiero sembrava divertente. Non volevo che ci fosse davvero questo superamento.
Questo ventiquattresimo compleanno è stato difficile, amaro perché ho raggiunto la tua stessa età e non sono stata superata. Fra un po' ti supererò io e non sono pronta all'idea che sia così, che io sarò più grande di te.