top of page

Fame di vita o di morte? di amore o di dolore?

Aggiornamento: 29 mag


"Francesca, 19 anni: "Mi muovo molto, ho bisogno di farlo. Se non posso uscire mi metto a correre avanti e indietro nel cortile, fino all'osso. Non è più una questione di essere magre o belle ma di vivere o morire. Io non lo so più"


Carla, 18 anni: "Mangiavo, o meglio, ingoiavo tutto quello che avevo davanti. Di notte, di giorno quando non c'erano i miei. E poi mi vergognavo e allora rivomitavo tutto. E mi facevo schifo ancora di più. Era tutto uno schifo. Eppure se mi sentivo agitata, arrabbiata o felice avevo bisogno di masticare per calmarmi. Era come una droga. La volevo e poi la buttavo via"


Alberto, 26 anni: "Mi sono laureato in medicina col massimo dei voti, ho sempre fatto esercizio fisico e sono sempre attento al mio aspetto. Ho bisogno di sentirmi sempre al top, sempre perfetto. Sono cresciuto nella vanità per farmi amare, soprattutto da mia madre che non c'era mai. E' diventato tutto un incubo. Ho smesso di mangiare e mi sono buttato sullo studio e sullo sport. Il mio corpo doveva essere senza difetti. Mi sono trovato da solo, senza amici o altri interessi al di fuori di studio, sport e cibo. Dall'anoressia sono passato alla bulimia... avevo fame... troppa... allora mi abbuffavo e poi usavo i lassativi o i diuretici per svuotarmi perché mi sentivo in colpa. Avevo l'ossessione di piacere a tutti. Ora mi ritrovo in una clinica"


Cristiano, 39 anni: "Mi ricordo che era il primo anno di liceo. Ero un bel ragazzo ma ero molto timido, insicuro. Uscivo, mi divertivo ma ero sempre agitato, avevo paura di fare brutte figure. nella mia classe c'era Giulia, la ragazza più bella che avessi mai visto. Era gentile con me, siamo diventati amici poi un giorno mi sono dichiarato e ricordo che lei si mise a ridere. Quella risata me la ricordo ancora. Ci sono rimasto malissimo. Credo che da lì ho iniziato ad essere arrabbiato, con tutti. Ho cominciato a mangiucchiare dolci e patatine a ogni ora del giorno. Alla fine era diventata un'abitudine, anche alzarmi di notte e aprire la dispensa per cercare merendine. Era automatico Non ci facevo caso. erano i miei che mi rimproveravano. Oggi mi ritrovo a combattere con la compulsione di mangiare, è come il fumo di sigaretta. Se sono arrabbiato mangio, se sono felice mangio, se sono agitato mangio. Mi rilassa, mi dà sicurezza e non mi interessa se sono sovrappeso tanto non mi ha mai guardato nessuno. Anzi se non ti guardano è meglio almeno non deludi nessuno, non devi dimostrare niente a nessuno"



I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono ormai la realtà problematica di milioni di persone, soprattutto adolescenti e giovani adulti, in tutto il mondo, in particolare nei Paesi più sviluppati. Sebbene la popolazione femminile sia quella maggiormente colpita, negli ultimi anni è cresciuto notevolmente il tasso di pazienti maschi con un DCA.

Tra i più diffusi abbiamo: Anoressia nervosa, Bulimia nervosa, Binge Eating Disorder (Disturbo da alimentazione incontrollata). Sebbene i manuali diagnostici tendano ad affrontarli separatamente, oggi si tende sempre più a considerare questi tre disturbi come tre facce dello stesso problema: condividono uno stesso nucleo psicopatologico e delle caratteristiche: scarsa autostima, tendenza alla perfezione, eccessiva preoccupazione per peso e forma corporei.

E' molto frequente che una stessa paziente passi da una diagnosi all'altra: dalla bulimia all'anoressia e viceversa; in altri casi si decide di lasciarsi andare e si cade nel Binge Eating Disorder.


In questo articolo non ci soffermeremo sui criteri diagnostici ma su ciò che può vivere e sentire una persona con DCA. Cosa porta a sviluppare un tale disturbo e con quali effetti. Cercheremo di entrare nei meandri della psiche e dell'anima di queste persone per comprendere questi disturbi nel profondo e sfatare anche qualche mito (es. l'anoressia è legata alla ricerca della bellezza esteriore). Lo faremo prendendo a riferimento soprattutto l'approccio cognitivo-comportamentale.


Anoressia Nervosa: il corpo è un peso, deve scomparire.


Le informazioni scientifiche riportate dai manuali diagnostici, sui disturbi del comportamento alimentare ( DCA) sono decisamente espliciti e completi dal punto di visto descrittivo, il messaggio informativo che si vuole trasmettere va oltre. Oltre la causa, oltre il disagio, oltre la sofferenza, perché oltre ad un' apparente dieta o abbuffata si nascondono persone con una propria storia ed il proprio dolore. Ed è esattamente questo che racconteremo.

L'esordio si ha generalmente durante l’adolescenza o nella prima età adulta. Spesso è associato ad un evento stressante (es. lasciare la casa per motivi di studio, divorzio difficile tra i genitori, brutta delusione da partner o amici, ecc).

Inizialmente si osservano modifiche nei comportamenti alimentari successivamente si presentano i sintomi. Alcune persone guariscono più facilmente, altri invece diventano cronici.

Il tasso di mortalità è alto, riguarda il 5% dei pazienti nell’arco di un decennio.


Principali effetti dell'Anoressia sulla persona

Ogni persona subisce effetti diversi del disturbo e con diversi livelli di gravità, vediamo i più comuni.

EFFETTI SUL CORPO

Grave perdita di peso, difficoltà nel sonno e stanchezza, vertigini, dolore allo stomaco, costipazione, sensazione sistematica di freddo, indebolimento pilifero (peluria sul corpo), amenorrea o dismenorrea, disinteresse verso il sesso, assottigliamento della pelle e caduta dei capelli.

EFFETTI SUL COMPORTAMENTO

Esercizio fisico eccessivo, rituali ossessivi (es. calcolo calorie assunte ma anche sintomi DOC veri e propri di lavaggio o di controllo), body checking (controllo continuo del corpo allo specchio, o alla bilancia), riservatezza e inganno sul proprio regime alimentare, ricerca spasmodica del compiacimento sociale, spesso alternato a rabbia,indossare abiti ampi per coprire le forme. Una caratteristica peculiare è il voler cucinare per gli altri senza assaggiare nessun cibo.

EFFETTI SU MODI DI PENSARE E SENTIRE

Sentirsi grassi anche se si è gravemente sottopeso, diventare irritabili e umorali, perfezionismo, riduzione dell'interesse per i rapporti interpersonali e la vita sociale, difficoltà di concentrazione.


Perché una persona arriva a sottoporsi a una dieta così estrema, rigida e selettiva, nonostante sia palesemente anomala, dannosa e controproducente?

Secondo l'approccio cognitivo-comportamentale la restrizione dietetica nell'anoressia è una condotta regolata da scopi. Lo scopo NON è la bellezza, c'è molto di più.

Gli scopi sono: NON ESSERE GRASSA e NON PERDERE IL CONTROLLO DELLA PROPRIA ALIMENTAZIONE. L'alimentazione è l'unica cosa che sente di poter controllare, che la fa sentire efficace e adeguata.

La persona NON persegue un ideale di bellezza tramite la magrezza e la perfezione delle forme corporee, piuttosto vuole evitare in modo assoluto di essere grassa. Essere grassa significa percepirsi ed essere percepita VOLGARE, DISGUSTOSA anche moralmente, DISPREZZABILE e da prendere in giro, INDEGNA DI ESSERE AMATA.

La persona giudica il proprio valore personale, invece che in base alla proprie prestazioni in svariati domini della vita (studio, lavoro, qualità delle relazioni sociali), soprattutto od esclusivamente in base al peso, alla forma del corpo ma anche in base a quanto riesce a controllare l’alimentazione.

Nel tempo compaiono altri scopi: evitare il senso di gonfiore o eventuali difficoltà digestive, evitare la contaminazione di odori o sapori (frequente è separare i pochi cibi e non condirli).

Per la persona anoressica non essere grassa diventa un impegno morale: se trasgredisce si punisce, ad esempio col digiuno o l'eccessiva attività fisica (correre avanti indietro dopo un pasto).

Per alcuni autori tutto nasce dal timore di deludere le aspettative altrui, soprattutto di persone significative come un genitore. Si tende alla perfezione, a compiacere gli altri sino a sentirsi oppresse e allora l'anoressia diventa una sorta di “riscatto”, nel riuscire a sottrarsi alle aspettative altrui: riuscire a controllare un istinto potente come la fame fa sentire un senso di potenza, di efficacia, di libertà. La persona sente di non poter controllare la sua vita, è spaventata e si sente incapace e allora cerca di trovare sicurezza nell'unica cosa che crede di poter gestire: il corpo.


Meccanismi di mantenimento e aggravamento dell'Anoressia Nervosa

I meccanismi che possono mantenere il disturbo sono di due tipi:

A)Investimento di protezione:

-Basato su un Orientamento Cognitivo Prudenziale (attenzione selettiva e focalizzazione sulle possibilità temute), la paziente anoressica distorce la percezione del corpo, soprattutto addome e cosce, che le appaiono più grandi e grasse (per evitare di illudersi), quindi per lei aumenta la minaccia - ruminazione costante sulle calorie assunte (al fine di non sottovalutare questo dato fondamentale, focalizza l’ipotesi peggiore e ne cerca la conferma (vale per tutte le paure), per non sminuire finisce per sopravvalutare e restringerne ancora di più l’assunzione).

-Incentrato sui comportamenti di sicurezza: il body checking continuo allo specchio, sulla bilancia, provando vestiti; ciò implica il behaviour as input (comportamenti di sicurezza=conferma che c’è una minaccia). Il body checking è valutato in modo prudenziale, con il solo scopo di evitare di illudersi di non essere ingrassata, quindi tende a confermare i timori della paziente.


B) Investimento di successo:

- Focalizzato al successo del dimagrimento ottenuto dalla restrizione che implica la soddisfazione di altri scopi del paziente e quindi un ulteriore investimento nella restrizione:

- Il successo nel perdere peso e il resistere ad un istinto potente come quello della fame ha un effetto euforizzante, perché aumenta il senso del valore personale, rispetto agli altri ritenuti schiavi di bassi istinti. L'anoressica percepisce in maniera intensa il senso dell’autocontrollo, anche conosciuta come "self efficacy" la percezione di ritenersi capaci ad ottenere risultati. Alla base del raggiungimento dei successi ottenuti spesso si cela il desiderio di autonomia e affrancamento dalle aspettative e desideri altrui. Tutto questo contribuisce ad aumentare l’investimento nella restrizione.

- Secondo alcuni autori, considerando che la convivialità a tavola mantiene ed incrementa il senso della comune appartenenza, rifiutare il cibo e opporsi alle insistenze dei familiari, ottiene anche il risultato di marcare un confine fra sé e gli altri, affermando la propria autonomia, piazzando un confine rispetto alla propria famiglia senza opposizioni esplicite, e senza mettere a repentaglio i legami affettivi.


Come arrivare a capire che esiste davvero un'altra possibilità per ricominciare a vivere?Come conoscere altri rimedi utili a sfogare l'angoscia? Come potremo essere sicuri di non ricascarci, o nel peggiore dei casi affrontare gli scivoloni con strategie meno lesive? Può un'anoressica, che da anni si affanna a riempire ogni vuoto con lo stesso ostinato comportamento, immaginare che ci sia anche la possibilità di stare sdraiati sul letto e leggere semplicemente un libro, senza l'assillo del cibo? O studiare, pensare, sognare, fare lavori manuali. Oppure che si possa fare una passeggiata, per il piacere di farla, o addirittura fare l'amore?

Fabiola De Clercq, "Tutto il pane del mondo: cronaca di una vita tra anoressia e bulimia", 1993


La Bulimia Nervosa: cerco di riempire il vuoto che ho dentro.


L'elemento cardine della Bulimia è l'abbuffata.

Che cos'è un'abbuffata? Il DSM5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) definisce l'abbuffata come l'ingestione di grandi quantità di cibo in un lasso di tempo breve, senza prestare attenzione al gusto o al tipo di cibo (mischiando cibi dolci, salati, addirittura congelati) e senza tener conto della sensazione di fame o sazietà.

Le abbuffate generalmente sono innescate da:

- vuoto sentimentale (non sono importante per nessuno),

- vuoto esistenziale (noia o mancanza di scopi),

- tristezza e desiderio di consolazione (generalmente si inizia con dolci facili da mangiare come i biscotti, la cioccolata),

- fame per eccesso di restrizione,

- desiderio di placare emozioni violente e dolorose.

Sono accompagnate dalla sensazione di perdita del controllo o dal cupio dissolvi ("ormai ho già mangiato troppo, il danno è fatto, tanto vale continuare").

Si interrompono quando si prova dolore da riempimento, o sopraggiunge una persona, con una sensazione di disgusto e disprezzo per sé stessi.

Gli episodi di abbuffata sono seguiti da senso di colpa, e da condotte di eliminazione come il vomito autoindotto (che aumenta il senso di disgusto) o da condotte compensative, come l’attività fisica o la restrizione alimentare, sino al digiuno. Quest’ultima può innescare nuove abbuffate per la fame.

La condotta di eliminazione, generalmente il vomito, placa temporaneamente il timore di ingrassare, ma accresce la valutazione negativa di sé, dando origine a nuove abbuffate ed eliminazioni. (“volevo provare ad essere felice e riempire il vuoto che sentivo di avere dentro. In seguito…mi facevo schifo”). Si innesta così un circolo vizioso "abbuffata-eliminazione-abbuffata" ,che tende a mantenere il peso corporeo desiderato, ma ha un forte impatto sulla salute fisica e da cui è difficile uscire.

Spesso infatti la diagnosi di Bulimia arriva tardi proprio perché la persona riesce a mantenere un peso-forma nella norma.


Principali effetti della Bulimia Nervosa

EFFETTI SUL CORPO

Gola irritata, alitosi e infezioni della bocca, mal di stomaco, ciclo irregolare, pelle secca, difficoltà nel sonno, costipazione, guance gonfie, disidratazione, svenimento, problemi intestinali e renali. Denti rovinati perché il vomito corrode lo smalto.

EFFETTI SUL COMPORTAMENTO

Abbuffate, sentirsi male dopo i pasti o le abbuffate, uso di lassativi o pillole dimagranti, tendenza a nascondere agli altri le abbuffate, impulsività.

EFFETTI SUL SENSO DI SE’

Sentirsi emotivi e depressi, sentirsi fuori controllo, umorali e ossessionati dal peso e dalla dieta.


L’inizio avviene come per l’anoressia nervosa, tra l'adolescenza e la prima età adulta. Le abbuffate spesso iniziano in seguito a restrizioni alimentari, quindi è molto facile che pazienti con anoressia passino alla bulimia (e viceversa).

Il decorso può essere cronico o intermittente, cioè si alternano momenti in cui la persona riesce a gestire il proprio comportamento alimentare a momenti di riacutizzazione dei sintomi.

Il tasso di mortalità è inferiore a quello dell'anoressia, è del 2%.


Perché si entra nel circolo vizioso "abbuffata-eliminazione-abbuffata"? Che scopo ha abbuffarsi?

L’attivazione dell’abbuffata può avvenire per diverse ragioni: si assaggia un cibo “proibito” e non ci si riesce a fermare; si pianifica l’abbuffata o la si agisce in risposta a tensioni emotive (tristezza, delusione, rabbia, noia, solitudine). Sostanzialmente il principale elemento precipitante nell’abbuffata è legato ad un’emozione negativa, allo stress sul piano interpersonale, a vissuti negativi correlati al peso-forma, alla noia, ecc.

Se l’abbuffata, nel breve termine, sembra attenuare lo stato d’animo negativo della persona, successivamente si associa a forti sentimenti di colpa, autosvalutazione e disforia (umore irritabile) che sono alla base della messa in atto delle condotte compensatorie volte al controllo del peso.

Il vomito autoindotto rappresenta la pratica compensatoria più frequente e si associa, nell’immediato, ad un’attenuazione del malessere fisico e del vissuto di colpa e di ansia in relazione al timore di aumentare di peso. L’autoinduzione del vomito può essere attuata attraverso l’uso delle dita o altri strumenti. Altre condotte di compenso sono: diuretici, lassativi, enteroclismi, subito dopo l’abbuffata. In rari casi viene fatto uso di ormoni tiroidei per accelerare il metabolismo e facilitare il calo ponderale.

Nei soggetti con diabete mellito insulino trattato può esserci la tendenza a omettere l’uso di insulina o a ridurne la dose per evitare o limitare l’assimilazione del cibo durante l’abbuffata.

Anche il digiuno e l’attività fisica, estenuante e compulsiva, praticata in orari e contesti inusuali, sono metodi di compenso ampiamente usati.

Tra un’abbuffata e l’altra sono abituali la riduzione dell’introito calorico e la tendenza ad assumere cibi dietetici.


Secondo Bruch la Bulimina nervosa (BN)è diversa dall’Anoressia Nervosa (AN) rispetto al rapporto Sé- corpo: nell’AN vi è una totale negazione del corpo nella sua dimensione sessuale adulta; nella BN c’è un vissuto di “estraneità” dal proprio corpo, sentito come fardello e prigione. Un corpo troppo pesante, il tema centrale del bulimico è la sensazione di vuoto che esprime la privazione emotiva sofferta dai pz nelle relazioni primarie (all'interno della famiglia).

L’abbuffata bulimica diventa il tentativo di riappropriarsi di una dimensione corporea ed esprime la rabbia rispetto alle relazioni oggettuali interiorizzate, fortemente patologiche. A livello relazionale infatti sono persone caratterizzata da un forte desiderio di dipendenza ostacolato da una tendenza alla distruttività.

A differenza dell’AN che mira alla leggerezza del mondo ascetico (il corpo deve scomparire); nella BN emerge un circolo vizioso col cibo, una lotta di potere e controllo.


Nel momento stesso in cui una persona è in preda a una crisi bulimica esiste. Le sensazioni violente provocate dall'assunzione di cibo consentono a un'esistenza evanescente di recuperare sostanza e di riempirsi di gioia, certamente breve, ma intensa, selvaggia, essenziale.

Umberto Galimberti, "I vizi capitali e i nuovi vizi", 2003


Binge Eating Disorder: il cibo è il mio rifugio, il corpo è il mio scudo.


È un Disturbo del Comportamento Alimentare che si presenta clinicamente con episodi di abbuffate tipici della BN, senza però mostrare i comportamenti compensatori tipici della BN! (anche se il digiuno successivo è stato riscontrato in molti pz con BED).

Spesso è una conseguenza dell’AN e della BN (come se la pz ad un certo punto si lasciasse andare).

E' una patologia diffusa soprattutto tra le adolescenti. In genere il fattore scatenante è una dieta drastica, ipocalorica che portano a sentire più fame e meno senso di sazietà. Talvolta può essere un problema personale o interpersonale per cui si cerca rimedio alla propria sofferenza nel cibo, fino a perdere il controllo. Le periodiche abbuffate possono riguardare sia alimenti dolci che salati, con successive coliche addominali. L’individuo ha come unico pensiero quello di ingerire ogni tipo di alimento per calmare le proprie ansie, anche se è consapevole che potrebbe recare danni alla sua salute (troppo poco sano e ipercalorico). Nella maggior parte dei casi viene usato il digiuno come metodo compensatorio, per scongiurare l’aumento di peso. Ma ciò porta ad un circolo vizioso in cui la fame genera perdita di controllo, abbuffata, ulteriore aumento di peso. Le reazioni emotive a questo comportamento sono di rabbia e tristezza. I pz presentano anche bassa autostima, vergogna, timore del giudizio, paura di deludere, depressione clinica, difficoltà nel gestire le frustrazioni o intensi stati emotivi. L’aspetto fisico diviene un limite ma anche una difesa dal mondo esterno. Nel tempo infatti, proporzionalmente all’aumento di peso, si ha una riduzione delle attività giornaliere e isolamento, con cadute depressive che alimentano il circolo.


SINTOMI DEL CORPO

Aumento di peso, mal di stomaco, ciclo irregolare, pelle secca, difficoltà nel sonno, costipazione

EFFETTI SUL COMPORTAMENTO

Abbuffate, essere riservati e mentire rispetto a quanto mangiato, ruminazioni sul cibo. SENSO DI SE’

Sentirsi emotivi e depressi, sentirsi fuori controllo, umorali, ossessionati dal peso.


Trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare

Il trattamento presenta diverse difficoltà attuative a causa di diversi fattori: negazione di malattia, ostacoli all'alleanza terapeutica, elevato rischio di drop-out (interrompere le cure), elevata comorbilità psichiatrica (presenza di altri disturbi come ad esempio depressione o uso di sostanze), rischio suicidio e di cronicizzazione del disturbo.

L’approccio d’elezione è quello integrato orientato alla stabilizzazione dei parametri fisiologici, al trattamento aspetti psicologici individuali e familiari, e mantenimento dei risultati ottenuti. Si lavora in un'équipe che in genere comprende: medico, nutrizionista, psichiatra, psicologo, operatori socio-sanitari, educatori.

C’è accordo tra clinici sul fatto che lo scopo primario del trattamento deve essere NoN l’aumento di peso ma la riabilitazione nutrizionale e la normalizzazione del comportamento alimentare, sostenuti da supporto psicologico.

Anche la terapia di gruppo è efficace: il gruppo svolge una funzione contenitiva ma offre anche soluzioni al problema, confronto sano, rispecchiamento ed empatia.

Per i familiari sono importanti programmi psicoeducativi per la gestione della malattia (colloqui di sostegno e/o counseling familiare).

La Terapia Cognitivo Comportamentale viene considerata il trattamento d'elezione. Vengono proposti programmi di intervento focalizzati sulla gestione del comportamento alimentare distorto e un lavoro sui pensieri disfunzionali e le emozioni ad essi associate.

Nel processo terapeutico sono considerati i fattori di rischio quanto i meccanismi di mantenimento. Lo scopo è: normalizzare il comportamento alimentare, ridurre l’importanza affidata al peso-forma connessa alla valutazione di se stessi; modificare le distorsioni cognitive generali e lavorare su aspetti di mantenimento come il perfezionismo, la bassa autostima nucleare e i problemi interpersonali.

In genere il trattamento si struttura in più fasi: inizialmente si attuano tecniche comportamentali, ad esempio per sostituire le abbuffate con comportamenti regolari nella BN, o per regolare il comportamento a tavola nell'AN (evitare di contare le calorie ad esempio) e si introduce un’alimentazione controllata (dietista e nutrizionista). Successivamente si attua l’intervento cognitivo per lavorare sulle distorsioni cognitive che mantengono il disturbo (ad esempio nell'anoressia si tende a percepirsi grasse soprattutto a livello di addome, glutei e cosce), infine si lavora sulla riduzione delle ricadute.

Essenziale la PERSONALIZZAZIONE del trattamento e il coinvolgimento della famiglia.


In conclusione

Al di là delle fredde spiegazioni tecniche quello che non dobbiamo mai dimenticare è che ognuno di noi ha una propria storia, una sua personalità e meccanismi di difesa peculiari. Non dobbiamo cadere nella trappola delle generalizzazioni e dell'etichettamento. Sin dalla nascita il cibo è vita per noi, la fame è un bisogno primario e quando diventano l'unico strumento di controllo della nostra esistenza la prima cosa che dobbiamo fare è cercare di comprendere senza giudicare. Non ci sono colpe. Non ci sono responsabili. Ci sono storie, relazioni, esistenze che inciampano e si bloccano, sospendono nel tempo o che cercano di espandersi nello spazio alla ricerca di un rifugio sicuro. Ciò che per noi può essere la quotidianità, per un'altra persona può essere un percorso ad ostacoli che si affronta con fatica e allora ci si arrangia come si può. Quel cibo diventa la valvola di sfogo o un nemico da evitare o combattere a tutti i costi. Il cibo è vita: quindi diventa una lotta contro la vita. Noi che assistiamo una persona con un Disturbo del Comportamento Alimentare possiamo solo provare, giorno dopo giorno, ad alimentare il desiderio di vita. Chiedere aiuto non è segno di debolezza, tutt'altro... è il primo vero atto di coraggio e di amore.



Bibliografia:

  • Fabiola De Clercq, "Tutto il pane del mondo: cronaca di una vita tra anoressia e bulimia", 1993

  • Umberto Galimberti, "I vizi capitali e i nuovi vizi", 2003

  • American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano, 2015

  • S. Minuchin et all, "Famiglie psicosomatiche", 1980

  • A. Kring et all, "Psicologia clinica", 2019

  • Luigi Onnis, "Il tempo sospeso - Anoressia e bulimia tra individuo, famiglia e societa'", 2014









150 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page