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DSA. Disturbo Specifico dell'Apprendimento -"Non sono imbranato, semplicemente mi vergogno!"-




Elena ha 12 anni ed ha ricevuto una diagnosi di DSA in quinta elementare. Nonostante gli interventi riabilitativi abbiano portato ad un miglioramento del rendimento scolastico, Elena ha difficoltà a frequentare la scuola e i suoi coetanei. Ha un atteggiamento schivo e ritirato, spesso non va alle feste, si isola nel gioco o nei lavori di gruppo. E' cercata poco dai compagni. I genitori, preoccupati del suo isolamento, decidono di portarla da uno psicoterapeuta specializzato nell'età evolutiva. Emerge che la bambina si sente diversa dagli altri, meno capace e imbranata. Immagina gli altri come "spettatori" che la giudicano in modo negativo e soprattutto giudicano come segno di incapacità il suo modo di reagire (balbettare, tremare o restare in silenzio). E allora Elena si difende come può... resta zitta, fa respiri profondi, si allontana, per nascondere o evitare che gli altri si accorgano del suo imbarazzo. Questi comportamenti però non fanno che peggiorare le cose perché attirano l'attenzione dei compagni e confermano i timori di Elena.


Perché nonostante sia migliorata a scuola Elena non è felice? Non riesce ad instaurare delle sane relazioni con i coetanei?

Il problema centrale è nell'immagine che Elena ha costruito di sé e quindi sulle sue convinzioni circa se stessa. I suoi ricordi sono fondamentali in questo senso: le immagini mentali delle sue esperienze la portano a rimuginare in continuazione: Elena rivede i fallimenti e si vede sempre nello stesso modo, drammaticamente timida e goffa e queste immagini alimentano la sua ansia portandola a cercare di prevenire le situazioni temute, come ad esempio una merenda a casa di un'amica o un'interrogazione in classe. Prevede già che arrossirà, proverà vergogna e anticiperà anche il suo stato d'animo ("mi mostrerò stupida come sempre") e le critiche degli altri ("è proprio scema"). Molto probabilmente alla fine di questo rimuginare Elena sceglierà la via più semplice: l'evitamento.


Ricordiamo cosa sono i DSA:


Nel DSM 5 il Disturbo Specifico dell'Apprendimento (DSA) è inserito tra i Disturbi del neurosviluppo perché si tratta di condizioni che hanno un'origine neurobiologica, spesso di natura genetica, e che tendono a persistere per tutta la vita: si può migliorare ma non si può "guarire". In realtà è un errore parlare di malattia e guarigione, perché NON si tratta di malattie, bensì di neurodiversità, cioè semplicemente di un modo diverso di apprendere e funzionare. Basta trovare le strategie giuste ed avere gli strumenti adeguati per raggiungere gli stessi risultati dei propri coetanei.

Il DSA viene diagnosticato quando sono presenti deficit nella percezione o elaborazione delle informazioni ed è caratterizzato da persistenti e progressive difficoltà nell'apprendere le abilità scolastiche di base.

Anche se abbiamo sviluppato una certa familiarità con termini come dislessia, discalculia, disgrafia, etc, il DSM 5 descrive sei possibili condizioni eliminando le "etichette":

  • lettura di parole inaccurata o lenta e faticosa

  • difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto

  • difficoltà nello spelling

  • difficoltà nell'espressione scritta

  • difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo

  • difficoltà nel ragionamento matematico


Il ruolo della vergogna nei DSA


La vergogna si sperimenta quando si teme o si ritiene che possa essere compromesso lo scopo della nostra "buona immagine" agli occhi degli altri o anche di se stessi.

Si può provare vergogna per un evento, proprietà o azione che permetta agli altri o a se stessi di emettere una valutazione negativa e questa emozione si riattiva ogni volta attraverso il ricordo dell'esperienza. La vergogna è un'emozione sociale: può essere considerata un indicatore di come ci sentiamo nei confronti dell'altro; dunque è adattiva perché ci consente di regolare il nostro comportamento quando siamo con altre persone.

Il provare vergogna è accompagnato da segnali somatici e viscerali (rossore del volto, aumento della sudorazione, tremore, etc), posturali (evitare lo sguardo, chiudersi nelle spalle), del linguaggio (balbettare, farfugliare o restare in silenzio) e cognitivi (desiderare di scomparire, sentirsi piccoli e inadeguati, essere confusi, etc).

Nei bambini/ragazzi con DSA si riscontra molto frequentemente la cosiddetta metavergogna, cioè l'imbarazzo di provare e mostrare agli altri che in quel momento ci stiamo vergognando. Questo perché mostrare vergogna viene considerato segno di inadeguatezza e di debolezza. E' difficile da spiegare con le parole ma tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo a che fare con la metavergogna. Esempio: siamo alla lavagna, l'insegnante è molto carina e accogliente e vuole solo capire se abbiamo compreso bene ciò che ha spiegato, dunque ci fa delle domande. In quel momento ci sentiamo gli occhi puntati addosso e sentiamo che stiamo arrossendo e che le parole non escono dalla bocca. Siamo bloccati. Improvvisamente l'insegnante sorridente si trasforma nell'arcigna Signorina Rottermeier di Heidi; sentiamo un brusio, tutti staranno dicendo che siamo stupidi o incapaci. Non vogliamo che ci vedano così, tremolanti e rossi in volto, eppure più ci pensiamo più arrossiamo e più le parole restano in fondo alla gola formando un nodo che ci soffoca. Alla fine l'insegnate, con sguardo compassionevole ci dice di tornare al posto, nessuno parla, c'è un silenzio pesantissimo. Quel peso ci accompagnerà tutto il giorno e anche quello dopo, fino alla prossima interrogazione.

La caratteristica più importante legata alla metavergogna è il timore di essere sempre criticati durante l'esecuzione di azioni o compiti e il sentirsi costantemente sottoposti al giudizio degli altri. La cosa peggiore è che i comportamenti che mettiamo in atto per evitarla è orientata ad evitare di fare brutta figura piuttosto che a fare bella figura. Ciò significa che ci poniamo obiettivi negativi e questo perché ci percepiamo come fragili, inadeguati. Siamo più inclini a pensare che faremo una figuraccia e che per questo verremo derisi, compatiti o isolati.

Questo assetto mentale aumenta la sensazione di vergogna e mina l'immagine di sé. Un vero e proprio vortice che ti inghiotte.

Tutti noi sappiamo come ci si sente è vero, ma pensiamo ad un ragazzino con difficoltà nell'apprendimento, che magari è sempre un passo indietro rispetto ai compagni, che per tanto tempo è stato considerato uno svogliato o peggio... "non portato per lo studio"..... e quindi è stato abbandonato lì con un'etichetta addosso nell'attesa di una "spintarella" per finire la scuola e trovarsi un lavoro....

Non si deve mai dimenticare il vissuto di un bambino/ragazzo, dobbiamo sempre chiederci come si sente? come si vede? come si valuta? Spesso il suo silenzio, o il non eseguire un compito è legato alla sua convinzione di essere incapace e al timore di sbagliare. Comprendere questi vissuti deve essere parte integrante delle strategie d'intervento: un bambino che crede in se stesso è un bambino motivato! e se è motivato sarà collaborativo e disposto ad impegnarsi.


Il problema secondario nei DSA


Per problema secondario si intende la valutazione che una persona fa delle sue reazioni emotive e comportamentali; ad esempio: "un bambino/ragazzo, come valuta ciò che prova in diverse situazioni? Cosa pensa delle sue reazioni? Pensa che sia giusto provare rabbia dopo un brutto voto? Che sia corretto strappare il foglio davanti all'insegnate o tornare a casa e urlare contro la mamma?"

Con i bambini e i ragazzi è molto difficile entrare nel mondo emotivo ed esplorarlo ma è di vitale importanza provarci, soprattutto indagare insieme a lui/lei il giudizio ed il significato che attribuisce ad un suo stato d'animo, pensiero, sensazione e comportamento. E' importante perché molto spesso i problemi di un bambino con DSA sono aggravati dalla valutazione che fa di sé; ad esempio "se mi mostro in imbarazzo durante l'interrogazione, allora tutti rideranno di me e penseranno che sono un imbranato". Come affronterà lo studio e la vita scolastica se ha questi pensieri? Non bene purtroppo...

Oltre ad indagare i vissuti del bambino è importante capire come gli adulti significativi (genitori/insegnanti) reagiscono a lui. Ricevere una diagnosi di DSA è un evento critico per tutta la famiglia, i genitori devono rimettere in discussione l'idea che si erano fatti del proprio figlio: un bambino che nei primi anni di scuola è descritto come intelligente ed entusiasta nell'affrontare le nuove sfide può, improvvisamente, trovare molto faticoso imparare a leggere o a scrivere o a far di conto. Solitamente la prima reazione degli adulti è di sollecitarlo ad impegnarsi di più e il bambino ci prova ma purtroppo, nel caso di un DSA, l'impegno non è ricompensato con risultati positivi, generando sconcerto negli adulti e frustrazione e disorientamento nel bambino, che non comprende la natura delle sue difficoltà. Ed è proprio in questo momento che cambia l'immagine che il bambino ha di sé: sentirsi incapaci di soddisfare le aspettative degli adulti porta ad ansia, al timore di fallire e di essere criticati. Spesso il bambino/ragazzo risponde a tali vissuti con rabbia e con condotte aggressive oppure può arrivare ad isolarsi. Il rendimento scolastico diventa l'ultimo dei suoi problemi: si sente inadeguato sia a scuola che fuori di essa.

I bambini con un DSA interiorizzano precocemente la loro diversità nel modo di apprendere, l'insuccesso nelle prestazioni scolastiche e nelle interazioni sociali coi pari e con gli adulti, alterando l'immagine che hanno di se stessi. Questo significa che tendono

a sentirsi poco responsabili del loro apprendimento e ad abbandonare il compito alla prima difficoltà. Hanno maggiori probabilità di essere sottoposti a derisione e umiliazioni da parte dei compagni e adulti e queste esperienze aumentano il loro senso di inadeguatezza e la percezione di "sentirsi sbagliati" sviluppando poi la metavergogna ("oggi la maestra mi interrogherà, io non ricorderò niente, farò scena muta e tutti rideranno di me!").

I bambini con DSA sviluppano presto una certa vulnerabilità al senso di colpa perché sono convinti di fallire e di deludere gli altri, soprattutto gli adulti significativi ("la mamma mi dirà che devo impegnarmi di più perché non sto attento non studio abbastanza").

Altro aspetto fondamentale, i bambini con un DSA hanno una scarsissima autostima, non credono in loro stessi: ritengono di "non essere portati o abili" per lo studio e sviluppano questa convinzione in seguito ai ripetuti fallimenti e alle reazioni di chi sta loro intorno. se anche ottengono buoni risultati, tendono ad attribuire il successo a fattori esterni ("oggi sono stato fortunato"; "ci sono riuscito perché mi hanno aiutato") piuttosto che al loro impegno e alle loro abilità. Diventa difficile guidarli perché si sentono impotenti, che non potranno mai cambiare.


Cosa possono fare la famiglia e la scuola per questi bambini?


Non di rado capita che i genitori affianchino i figli durante i compiti a casa ed in genere è proprio in questi momenti che si rendono conto delle difficoltà dei ragazzi. Questi momenti rappresentano dei veri banchi di prova delle relazioni familiari. Per i genitori può essere difficile accettare che il proprio figlio abbia qualche difficoltà, talvolta minimizzano o sottovalutano il problema pensando che questo regredirà con il tempo; in altri casi diventano iperprotettivi, magari si sostituiscono ai figli nei compiti o richiedono interventi eccessivi da parte della scuola. In questo modo si deresponsabilizza il bambino/ragazzo non mettendolo in grado di trovare le strategie adeguate. In molti casi, soprattutto agli inizi, i genitori possono essere demoralizzati e frustrati dinanzi alla lentezza o alle difficoltà del figlio e tendono a spronarlo ad impegnarsi di più, si rischia però di perdere facilmente la pazienza e di far pesare al giovane le proprie aspettative su di lui.

In tutti questi casi il problema di apprendimento del ragazzo diventa un problema relazionale, sia familiare che sociale, con vissuti di colpa, vergogna, frustrazione e rabbia che si ripercuotono sui rapporti.

I genitori non vanno demonizzati né colpevolizzati. Sono esseri umani e vogliono il bene del loro figlio ma possono non essere pronti emotivamente per gestire la situazione proprio per questo è fondamentale la diagnosi precoce e l'intervento precoce che coinvolga bambino, famiglia e scuola. La figura del tutor dell'apprendimento in questi casi è fondamentale, non solo per aiutare il ragazzo a trovare la propria strada, utilizzando gli strumenti e le strategie giuste per ottenere risultati ottimali, ma anche perché il tutor si pone come mediatore tra ragazzo, famiglia, scuola e operatori socio-sanitari proteggendo e curando la qualità delle relazioni, soprattutto all'interno della famiglia. I genitori vanno aiutati nel comprendere i comportamenti e le emozioni del figlio e sostenuti nell'espletare in modo adattivo e responsivo le funzioni genitoriali.



Per quanto riguarda la scuola, l'insegnante è il primo riferimento nell'attività di apprendimento ed è nella posizione più adatta per accorgersi di un possibile DSA.

la scuola deve essere in grado di identificare gli alunni con difficoltà e richiedere, quando necessario, una consulenza specialistica e pianificare l'intervento più adeguato.

Oggi si sente parlare di PDP (Piano Didattico Personalizzato) per DSA e BES (Bisogni Educativi Speciali), che deve essere stilato dalla scuola su indicazioni dello specialista che ha effettuato la diagnosi. Si deve consentire l'uso di strumenti compensativi (calcolatrice, pc, tablet, etc) e di misure dispensative (ad esempio evitare di leggere ad alta voce in classe per un dislessico), scegliendo la modalità più adatta per proporli al bambino in modo che siano vissuti positivamente.

La scuola non è solo l'ambiente di apprendimento ma è un vero e proprio laboratorio sociale, dove si sviluppano e consolidano le capacità relazionali dei bambini e ragazzi, per questo è fondamentale aiutare gli insegnanti a predisporre un ambiente educativo favorevole e inclusivo; una scuola in grado di far emergere le diverse abilità dei singolo studenti in un clima di integrazione e cooperazione.

Intervenire nell'ambiente scolastico e in famiglia permette al bambino di sviluppare un maggior livello di autonomia nello studio e di avere le stesse opportunità dei compagni, garantendo il diritto allo studio, anche nei casi più gravi.



Bibliografia:

  • APA (2014), DSM5, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, R.Cortina, Milano

  • L.Isola et al. (2016), "Psicoterapia cognitiva dell'infanzia e dell'adolescenza. Nuovi sviluppi", F.Angeli, Milano

  • C. Castelfranchi (1998), "Che figura: emozioni ed immagine sociale", Il Mulino, Bologna

  • D.M. Clark & A. Wells (1995), "A cognitive model of Social Fobia", Guilford Press, New York

  • C. De Silvestri (1982), "Il problema secondario", in Chiari G., Nuzzo M.L. "Le prospettive cognitiva e comportamentale in psicoterapia", Bulloni, Roma

  • M. Di Pietro, E. Bassi (2013), "L'intervento cognitivo-comportamentale per l'età evolutiva. Strumenti di valutazione e tecniche di intervento per il trattamento", Erickson, Trento

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