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Il corpo contro: quando il disagio psichico si fa carne



<<Quando i suoi coetanei erano morti già da tempo, l'ipocondriaco, vivo, continuava a morire>>







Un giorno accusa problemi digestivi, il giorno dopo sente una spossatezza infinita, il giorno dopo ancora ha dolori vari… e poi di nuovo mal di stomaco, e poi si sente svenire, poi improvvisamente sta bene, ma l’indomani di nuovo è distrutto dal mal di testa. Negli anni ha fatto molte visite specialistiche ed esami medici, ma senza ricevere diagnosi che spieghino il suo continuo e multiforme stato di malessere. La sua vita quotidiana è costellata di farmaci, integratori e prassi preventive: è meglio evitare di mangiare questo o quello, di fare questa o quell’altra cosa, di andare a dormire troppo tardi, di prendere freddo, di prendere caldo, di fare sport, eccetera eccetera. Tutti noi conosciamo almeno una persona che sembra ricalcare questa descrizione e, se ci sembra di non conoscerne, … bè, è perché quella persona siamo noi!



Il cinema e la letteratura sono ricchi di personaggi modellati su questa descrizione, dal Malato Immaginario di Molière, ai personaggi ipocondriaci di Woody Allen, a tanti protagonisti dei film di Carlo Verdone. In genere ne emerge la classica macchietta dell’ipocondriaco: una persona fortemente ansiosa, convinta di avere le più strambe e gravi malattie, con la fobia del contagio e dei germi e che ricorre con troppa facilità al medico e ai farmaci.

Anche nell’immaginario comune, chi vive una situazione come quella descritta tende ad essere bollato come un malato immaginario alla ricerca di attenzioni o di scuse per evitare responsabilità, che “si inventa” i sintomi che lamenta, o, nell’ipotesi più generosa, come un individuo cagionevole e deboluccio da tenere sotto una campana di vetro.


Come sempre accade però, la realtà delle cose è molto più complessa e l’esistenza di queste persone è molto meno divertente dell’immagine che si può ricavare da un film.

La maggior parte di noi, che non vive l’invalidante realtà di una malattia cronica riconosciuta, al netto di piccoli acciacchi qua e là o di lievi malattie passeggere, è abituato a vivere in un corpo che funziona senza che se ne accorga, un corpo sul cui funzionamento fa affidamento senza nemmeno chiederselo, grazie al quale portare avanti tutte le attività quotidiane, dalle più basilari legate alla mera sopravvivenza fisica, alle più articolate e legate a bisogni superiori di autorealizzazione affettiva, professionale, sportiva, ecc… Per la maggior parte di noi, il corpo è uno strumento altamente funzionante che ci permette la realizzazione dei nostri scopi di vita e questo è un dato assodato e scontato.


Il "corpo nemico"

Per altre persone invece, nonostante l’assenza di una qualche patologia somatica diagnosticata, il corpo è una sfida quasi quotidiana, un luogo scomodo che invece di fungere da strumento per la realizzazione della propria vita sembra volerla sabotare in ogni occasione possibile attraverso la produzione di sintomi fastidiosi, dolorosi e talvolta proprio invalidanti, continui e altalenanti che, se indagati da un punto di vista medico, non trovano una spiegazione adeguata o non ne trovano proprio. Presto la vita di queste persone diventa un percorso ad ostacoli nel quale le situazioni stressanti di tutti i giorni risultano ancora più difficili da vivere, ma, paradossalmente, anche tutte quelle situazioni che potrebbero essere divertenti, piacevoli e fonte di soddisfazione e successo vengono rovinate dalla presenza delle reazioni somatiche più varie. Ad esempio, un pranzo fuori con gli amici può essere rovinato da nausea e problemi digestivi intensi, una bella giornata al mare può portare con sé la spiacevole costante sensazione di ipotensione a causa del caldo intenso, un successo lavorativo con conseguente aumento di responsabilità si può accompagnare ad insonnia e mal di stomaco costanti e un nuovo amore può vedere presentarsi disturbi genitali che rendono difficili i rapporti sessuali, e così via.


I Disturbi da Sintomi Somatici


Nella letteratura scientifica e nei manuali diagnostici ufficiali, si parla di "Disturbi da Sintomi Somatici" quando sono presenti uno o più sintomi fisici che causano disagio e portano ad alterazioni significative della vita quotidiana, nel senso che limitano notevolmente le attività, insieme a pensieri, comportamenti e stati d’animo eccessivi correlati a questi sintomi somatici, come pensieri ricorrenti e catastrofici (sovrastimare la gravità dei sintomi) e un livello di ansia sempre piuttosto alto circa la propria salute in generale. Si parla invece di "Disturbo d’Ansia di Malattia" quando i sintomi somatici non sono presenti oppure sono di lieve entità e non così invalidanti, ma il livello di ansia e i comportamenti e i pensieri conseguenti e inerenti il proprio stato di salute, come la convinzione di avere contratto una grave malattia e il ricorso frequente ad esami, visite e farmaci e il dubbio ossessivo di non essere correttamente curati dai medici, sono molto alti e interferiscono con la quotidianità. Questo secondo caso è ciò che nel linguaggio comune si identifica con ipocondria. Nel primo caso invece è importante notare come i sintomi somatici siano realmente presenti e talvolta invalidanti: la persona si sente in balìa di un corpo che sfugge al proprio controllo, nonostante le varie prassi quotidiane messe in atto per facilitare uno stato di salute e di benessere, e che causa sofferenza rendendo impossibili una vita e una progettualità serene e spensierate anche negli ambiti più banali.

I disturbi più frequenti, che non trovano una spiegazione medica se indagati con esami e visite specialistiche, sono:

  • Disturbi gastrointestinali;

  • Emicranie e cefalee;

  • Dolori da contratture muscolari a collo, spalle, zona lombare o che migrano nel corpo;

  • Disturbi neurovegetativi aspecifici: vertigini, sudorazione, senso di svenimento, tachicardia;

  • Disturbi del sonno;

  • Disturbi cardiocircolatori, ipertensione;

  • Disturbi cutanei;

  • Disturbi mestruali;

  • Disturbi sessuali e genitali (bruciori, pruriti, anorgasmia, impotenza, eiaculazione precoce, vaginismo…).

Ma allora, se non c'è una causa medica a questi disturbi e se queste persone non “se li inventano”, da dove arrivano questi sintomi? E’, come si suol dire, “tutto nella loro testa”? E’ “colpa dello stress”? E’ “solo ansia”?


Tutti noi abbiamo sperimentato nella nostra vita situazioni nelle quali il nostro stato emotivo e psichico del momento si è ribaltato sul corpo: il mal di pancia per un esame universitario, la chiusura di stomaco per l’ansia nell'attesa di una eventuale brutta notizia, l’insonnia per l’eccitazione per un appuntamento importante. In genere diciamo “ho somatizzato la cosa”. Dunque si tratta di un meccanismo che tutti conosciamo ma che in genere associamo appunto ad eventi specifici e transitori.


Il legame tra psiche e corpo è ormai ampiamente studiato in letteratura scientifica e il meccanismo che permette alle emozioni di farsi corpo è spiegato dall’attivazione contemporanea di sistema nervoso autonomo, neurotrasmettitori e ormoni. La PNEI, o Psiconeuroendocrinoimmunologia, è la disciplina che si occupa di indagare e spiegare come vi sia una costante influenza reciproca tra stati mentali e corpo attraverso l’intricata rete di comunicazione tra sistema nervoso, sistema immunitario e sistema endocrino ed è ormai chiaro come situazioni di stress cronico siano alla base dell’innesco di patologie anche gravi a causa di disequilibri ormonali e immunitari protratti nel tempo.


Gli individui che vivono in una situazione di continua produzione di sintomatologie somatiche e neurovegetative quindi esperiscono quotidianamente quello che la maggior parte di noi sperimenta in situazioni di particolare stress o ansia, e non dovrebbe essere difficile immaginare quanto questo possa rendere faticosa la loro quotidianità e influire sulla serenità della loro vita. Accade solitamente infatti che queste stesse persone sviluppino anche sintomi depressivi a causa del senso di impotenza e di scoraggiamento che la loro battaglia quotidiana con il corpo porta con sé, e a causa delle concrete difficoltà che si interpongono nella realizzazione dei loro obiettivi relazionali e professionali nel godimento delle più semplici attività. Allo stesso modo, accade che queste persone, nel tentativo di arginare i sintomi, inizino a mettere in atto tutta una serie di prassi prudenziali e di evitamento di situazioni che potrebbero scatenare o peggiorare i sintomi secondo quella che è stata la loro esperienza: ecco quindi che vengono messe in atto limitazioni di dieta o di attività fisica, evitamenti di situazioni climatiche, ambientali o che possono essere fonte di stress emotivo, andando così a ridurre fortemente il ventaglio di esperienze di vita di cui la persona può godere.


Ma come si instaura una situazione del genere?

Come sempre le cause alla base di un disagio sono molteplici e si intersecano tra loro. Si individuano diversi fattori:

- Vulnerabilità storica: nella storia di quasi tutti gli individui che soffrono di questo disturbo si riscontrano esperienze che comprensibilmente possono aver portato alla drammatizzazione della possibilità di avere una malattia e dunque alla tendenza a concentrarsi per prevenire sul rischio di malattia, come ad esempio:

  • la malattia lunga e drammatica di un famigliare;

  • ripetute malattie proprie ormai risolte;

  • durante l’infanzia, preoccupazioni molto intense e frequenti da parte di uno dei genitori anche per sintomi banali;

  • la tendenza della figura d’attaccamento a interpretare ogni manifestazione emotiva come sintomo di malattia.


Inoltre, spesso si rileva un ambiente famigliare che ha insegnato che l’essere ammalati e quindi bisognosi di un accudimento fisico è l’unico modo possibile per ricevere attenzione, affetto e amore.




- Un evento precipitante: l’accadere, ad un certo punto della propria esistenza, di uno o più eventi che minano alla radice l’immagine di sé come persona forte e indipendente, aprendo alla possibilità – ritenuta un disvalore – di essere vulnerabili e bisognosi di aiuto.


- Eventi traumatici che influenzano lo sviluppo del sistema nervoso e l’autoregolazione emotiva: l’accadere di uno o più eventi, soprattutto nell’infanzia, di natura traumatica, fissa nell’individuo un set point di reattività del sistema nervoso autonomo piuttosto basso. Le esperienze traumatiche – che possono essere di varia natura – si presentano in una fase della vita in cui il bambino impara, attraverso l’esperienza diretta e il modellamento sulla base delle reazioni degli adulti di riferimento, a reagire di conseguenza agli stimoli esterni e alle emozioni che ne derivano. Il sistema nervoso autonomo del bambino esposto a traumi reali, o a situazioni presentategli dagli adulti di riferimento come scompensanti anche se nella realtà non lo erano, si imposta così in una sorta di stato di allerta costante che diventa la normalità e lo accompagna nella crescita e nell’età adulta, facendolo essere più facilmente iper-reattivo agli stimoli quotidiani rispetto alle altre persone, cosa che si traduce in una produzione alterata di neurotrasmettitori e ormoni dello stress. Inoltre, l’apprendimento per osservazione dei modi di reagire a certi eventi da parte degli adulti di riferimento modula la capacità di autoregolazione emotiva del bambino, che in questi casi impara ad iper-reagire in senso negativo e catastrofico a stati emotivi e fisici di lieve entità o addirittura del tutto normali.


- Fattori cognitivi, emotivi e comportamentali che mantengono e aggravano il disturbo: la persona che vive questo stato di continua sofferenza fisica accompagnata da forte distress emotivo e preoccupazione per i sintomi entra facilmente in un circolo vizioso di pensieri e comportamenti che, sebbene nascano con l’intento di auto-proteggersi e di migliorare il proprio stato di salute, paradossalmente vanno a peggiorare la situazione. Ad esempio:

  • L’attenzione selettiva: la persona comincia a sviluppare una sorta di automonitoraggio costante dei sintomi e del proprio stato di salute in generale, focalizzando la propria attenzione in maniera sistematica sulle minime variazioni del proprio stato fisico. Ma così facendo, molto più probabilmente si accorgerà di qualunque variazione anche fisiologica o occasionale che nulla ha a che vedere con un eventuale disturbo tendendo però ad intrepretarla come tale, sovrastimando quindi la presenza di sintomi al di là di quelli che realmente ha.

  • La ruminazione: la persona tende a sviluppare un pensiero quasi ossessivo e ricorrente sui propri sintomi e su come risolverli, si informa ossessivamente tramite fonti non adeguate sulle possibili cause, ne parla in continuazione col medico o con altre persone, entrando in uno stato di ruminazione che aumenta ulteriormente l’attenzione sul sintomo distogliendola da qualunque altro aspetto della vita.

  • Logica “better safe than sorry” e comportamenti prudenziali: la persona inizia ad agire in senso eccessivamente preventivo modificando tutto ciò che nella sua quotidianità, secondo lei e a prescindere dal fatto che possa avere una causalità reale o meno, può causare o influenzare i sintomi, dall’alimentazione all’attività fisica, dall’esposizione a certi climi alla possibilità di esperienze nuove, entrando in un loop di comportamento impostato sull’evitamento e sulla logica del “meglio al sicuro che dispiacersi dopo”.


Questi meccanismi emotivi e comportamentali hanno ovviamente un intento autoprotettivo e risolutivo ma finiscono per peggiorare la situazione perché aumentano l’attenzione e la percezione dei sintomi e distolgono la persona da tutto quello che, all’interno della sua vita non è sintomo e che potrebbe invece permetterle esperienze positive che allevierebbero la sofferenza e diminuirebbero la sovrastima della probabilità di avere sintomi. Nella sua mente questa possibilità non è concepibile, abituata com’è ormai a esperire solo conferme di disagio e sofferenza da parte del proprio corpo. Inoltre, questo continuo stato di automonitoraggio ed evitamento aumenta lo stato d’ansia e di allerta che quindi, influendo sul sistema nervoso autonomo, aumenta a sua volta concretamente i sintomi e la probabilità che si verifichino.


Cosa può fare allora una persona che soffre di questo tipo di disturbo?

- Intraprendere una psicoterapia, meglio di tipo cognitivo-comportamentale, che oltre ad indagare sui fattori causali, insegni il riconoscimento e l'espressione delle proprie emozioni e permetta di lavorare anche sui fattori cognitivi, emotivi e comportamentali di mantenimento e aggravamento appena descritti, e che possa combinare anche l’uso di tecniche quali l’EMDR e l’ipnositerapia;

- Imparare tecniche di rilassamento e di meditazione, da eseguire quotidianamente, per “rieducare” il sistema nervoso autonomo a reagire meno violentemente agli stimoli quotidiani e riacquistare un contatto col proprio corpo meno ansiogeno;

- Cercare di superare di tanto in tanto i limiti autoimposti dalle prassi prudenziali, poco per volta, scegliendo modi e tempi che non facciano piombare nell’ansia, per aprirsi ad esperienze che possano disconfermare la presunta certezza di stare male e anzi permettersi di ricavare sensazioni positive dal proprio corpo;

- Cercare tra le persone care un alleato: aprirsi con qualcuno che non giudichi ma che nemmeno colluda con le pratiche di evitamento e di eccessivo automonitoraggio, che possa fungere da complice nell’affrontare nuove esperienze che possono destabilizzare;

- Usare l’ironia: l’ironia è un’arma potente in moltissimi casi. Riuscire a “prendersi un po’ in giro” con affetto per le proprie piccole “manie” e ansie sviluppate negli anni abbassa il senso percepito di drammaticità della situazione;

- Smettere di considerarsi come irrecuperabilmente danneggiati: spesso chi soffre di questo disturbo tende ad autogiudicarsi come una persona con un corpo irrimediabilmente non funzionante, come se fosse una macchina difettosa e impossibile da aggiustare. Ma il nostro sistema mente-corpo è capace di grandi cose, di enormi adattamenti, cambiamenti e rigenerazioni;

- Smettere di considerare il proprio corpo come un nemico: il proprio sistema mente-corpo ha imparato a funzionare in questo modo perché quello era il miglior modo possibile all’interno delle situazioni in cui si è trovato e l’iper-reattività del sistema nervoso autonomo con tutti i sintomi conseguenti è solo il modo che esso ha per proteggerci. Si tratta di “rieducarlo” a un nuovo modo di percepire la realtà come non necessariamente fonte di continue minacce;

- Comprendere e rispettare il proprio funzionamento e i propri limiti con amore: spingersi con forza ad affrontare tutto ciò che spaventa stando male fisicamente è deleterio tanto quanto all’opposto eccedere con le pratiche di evitamento. Occorre trovare un proprio modo e un proprio tempo per superare i propri limiti, e a volte questo significa anche rispettarli senza auto-rimproverarsi per non essere riusciti a superarli.


Cosa può fare invece chi è accanto a una persona che soffre di questo disturbo?

- Informarsi sul disturbo e come funziona, per non cadere in pregiudizi;

- Non giudicare negativamente la persona: trattarla come se si stesse inventando i disturbi, come se fosse pigra, come se stesse usando scuse per evitare impegni, doveri e responsabilità o per ricevere attenzioni non solo non l’aiuterà ma la farà stare peggio.

- Provare a mettersi nei suoi panni, a comprendere che soffre sia fisicamente che emotivamente, mai svilire o banalizzare;

- Offrirsi come alleato nel fare piccole esperienze che la stimolino ad uscire dal loop dell’evitamento, comprendendo tempi e modi ma senza colludere con l’eccessiva prudenza dell’altro: occorre comprendere che qualcosa che per voi è estremamente banale nell’altro può scatenare fantasmi di sofferenza fisica ed emotiva molto intensi.


Bibliografia:

  • Kring A.M., Davison G.C., Neale J.M., Johnson S.L., Psicologia Clinica, Ed. Zanichelli, Bologna, 2013

  • Perdighe C., Mancini F., Elementi di Psicoterapia Cognitiva, Ed. Fioriti, Roma, 2010

  • American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (V ed.) DSM 5, Milano, Raffello Cortina Editore, 2014


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