Il disturbo da accumulo in Andy Warhol. Collezionista o accumulatore?

Tutti noi conosciamo il disturbo da accumulo grazie al docu-reality americano “Sepolti in casa”.
La serie si focalizza sulle vicende personali dei cosiddetti hoarder, termine della lingua inglese con il quale si definiscono i soggetti affetti da un bisogno di accumulare in modo compulsivo oggetti.
Ogni episodio viene dedicato a due diverse storie in cui gli hoarder vengono aiutati da uno psicoterapeuta e da un personal organizer a rendere nuovamente agibili gli spazi abitativi liberandosi di tutti i beni inutili accumulati nel corso degli anni.
Ma di cosa si tratta?
Il Disturbo da accumulo, o disposofobia, è un disturbo poco studiato e con tanti aspetti da definire sia sul piano diagnostico sia sul piano clinico.
Tradizionalmente è un sintomo accomunato al disturbo ossessivo compulsivo (DOC), infatti nei casi più gravi era diagnosticato come sintomo DOC, nei casi meno acuti e invalidanti era considerato un sintomo del Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità.
Solo nel 2013, con la pubblicazione del manuale diagnostico DSM-V, gli viene finalmente riconosciuto lo status di disturbo autonomo, con il nome di Hoarding Disorder, inserito tra i disturbi “correlati” al DOC.
Nel DSM-V viene definito come disturbo caratterizzato dalla difficoltà a buttare determinate cose, indipendentemente dal loro valore, espressione di un intenso bisogno di salvarle e di un forte disagio all’idea di separarsene.
Gli oggetti che le persone conservano, possono essere di qualsiasi tipo: si va dalla collezione di oggetti di valore, all’accumulo di spazzatura, fino all’accumulo di animali. Molto frequente è l’accumulo di libri e giornali o, comunque, di materiali che contengono informazioni e possono aumentare le conoscenze.
Anche la severità può naturalmente variare molto: si va da persone che hanno la casa completamente invasa dagli oggetti, con solo stretti cunicoli (chiamati sentieri da capra) attraverso cui muoversi tra le stanze a situazioni più sotto controllo (magari grazie a risorse economiche che consentono l’affitto di magazzini per l’accumulo) o semplicemente di minore gravità (per esempio l’accumulo riguarda selettivamente solo alcuni oggetti).
L’individuo è consapevole del suo comportamento?
Per comprendere in quale situazione si trova l’accumulatore, bisogna cercare di capire come egli interpreta il mondo. Bisogna anche abbandonare alcuni pregiudizi. Ad esempio, sembra una credenza comune che le persone che vivono in questo squallore e non riescono ad eliminare gli oggetti accumulati siano semplicemente persone pigre e sporche.
Il disturbo da accumulo non indica mai una mancanza di igiene.
Rappresenta la manifestazione di un disordine mentale specifico che richiede un trattamento adeguato e mai dovrebbe essere disprezzato.
Molti hoarder in realtà si sentono colpevoli per il loro comportamento. Sono tuttavia sicuri che il disordine e la continua compulsione a raccogliere oggetti, permetta di avere sicurezza nel mondo quando saranno soli, così si instaura un circolo vizioso e continuano ad accumulare.
Un’acquisizione non è una semplice acquisizione, bensì equivale a tenere qualcosa di un valore inestimabile indipendentemente da ciò che normalmente si possa pensare di quell’oggetto o di quel gruppo di oggetti. Si crea un attaccamento emozionale ad ogni singolo oggetto ed è anche questo che rende impossibile all’ hoarder decidere di pulire la propria abitazione da solo.
Per lui, il forte trauma di dover condividere il materiale posseduto è incredibilmente angosciante, tanto da paralizzare ogni sforzo per liberarsi del superfluo.
Il fatto di non scartare è qualcosa normale per loro, e non richiede alcun intervento di specialisti.
Il momento dell’eliminazione degli oggetti per l’hoarder porta a una forte sofferenza e incredibile senso di perdita. Inizierà ad affliggersi e a lamentarsi di ciò che sta perdendo e correrà verso il luogo nel quale è stato scaricato l’oggetto in modo da riportarlo a casa.
Una persona non affetta dal disturbo conserva gli oggetti che potrebbero essere utili nel prossimo futuro. Loro conservano perché pensano sinceramente che arriverà un momento in cui avranno bisogno di ciò che hanno conservato in casa. Fino a quel momento, essi terranno oggetti in casa e continueranno a conservare altri oggetti finché il materiale posseduto ed il livello di disorganizzazione in casa diventano troppo ingestibili.
Come l’hoarder giustifica l’accumulo?
L’hoarder giustifica il suo accumulo con diverse motivazioni:
Evitare gli sprechi. La ragione più frequente dell’hoarder è quella di evitare di sprecare le cose che potrebbero avere un valore. Spesso la persona che accumula crede che un oggetto potrà essere ancora utilizzabile o di interesse per qualcuno. Pensare di disfarsene lo porta a sentirsi in colpa, considerandolo uno spreco.
La paura di perdere informazioni importanti. Il secondo motivo più frequente per il salvataggio è la paura di perdere informazioni importanti. Molti accumulatori si descrivono come drogati d’informazioni raccogliendo così giornali, riviste, opuscoli, documenti ed altri mucchi di carte. Continuano a procurarsi grandi quantità di giornali e riviste in modo che quando avranno tempo, saranno in grado di leggere e digerire tutte le informazioni utili che immaginano siano lì.
Significato emozionale degli oggetti. Una terza giustificazione dell’accumulo è che l’oggetto ha un significato emotivo. Questo assume molte forme, tra cui l’associazione sentimentale degli oggetti con persone importanti, luoghi o eventi. Un’altra forma comune di attaccamento emotivo riguarda l’integrazione con gli oggetti posseduti, sbarazzarsi di essi corrisponde a “perdere una parte di sé stessi”.
Caratteristiche degli oggetti. Infine, alcune persone accumulano perché apprezzano il modo in cui appaiono gli oggetti, in particolare forma, colore e consistenza. Queste persone che accumulano descrivono se stesse come artisti o artigiani che conservano le cose per promuovere la loro arte. Infatti, molti sono creativi con le loro mani. Purtroppo i progetti artistici non vengono mai realizzati.
Un famoso caso, a proposito di arte e disturbo da accumulo, è quello dell’artista Andy Warhol.

Andy Warhol, fu la figura predominante del movimento della Pop Art e uno dei più influenti artisti del XX secolo
Cominciò a raccogliere fin da bambino, frequentava assiduamente i mercatini delle pulci, aste internazionali, antiquari e conservare oggetti vari e inutili tanto da riempire la celebre abitazione di New York.
Iniziò, con ossessiva metodicità, a raccogliere gli oggetti più disparati all’interno di scatole di cartone marrone tutte uguali.
Questo metodo fu un suggerimento di uno degli assistenti di Warhol, nel periodo in cui l’artista stava preparando a trasferirsi in un nuovo studio. Invece di chiudere semplicemente gli oggetti da portare in una scatola, il personale ha suggerito ad Andy di riporli come un’opera d’arte in sé. Warhol da questa idea, ha continuato negli anni ad accumulare oggetti in queste scatole che poi chiamerà Time Capsule.
Non sono tanto gli oggetti che vuol custodire e preservare intrappolandoli all’interno di queste scatole, quanto il tempo stesso della loro esistenza.
La time capsule è il personale tentativo di bloccare la memoria per l’eternità, di fare ordine nello scorrere caotico del tempo e della propria vita come se fosse un racconto autobiografico e concretizzandone le emozioni.
Di seguito attingerà anche da queste scatole per avere ispirazione per la sua arte.
La provocatoria rappresentazione di prodotti di consumo proposti senza elaborazione, come la famosa lattina di Campbell’s Soup, di immagini volutamente prive di uno stile personale e volontariamente ancorate al puro e semplice significato oggettuale, pare infatti in contrasto con il contenuto emozionale che Warhol sembra attribuire all’oggetto banale amorevolmente custodite nelle Time capsule e caricato di significati psicologici, quand’anche strettamente individuali. E proprio la soggettività sembra l’unico criterio di giudizio per differenziare ciò che va scartato come residuo inutile ed obsoleto del consumismo.
Ernst Hans Gombrich afferma “L’opera d’arte significa dunque ciò che significa per noi, non c’è altro criterio”; non sapremo mai cosa significarono per Warhol le sue seicento time capsule ma si può ipotizzare che per lui fossero quelle le vere opere d’arte di tutta la sua carriera o magari un linguaggio ancora inesistente o ancora una manifestazione di un’intima necessità di possesso, inteso come mezzo per esorcizzare la morte, che rappresenta l’ultimo distacco, quello definitivo, dalle cose e dalle vita.
Le scatole di Warhol, in sostanza, rappresentano una traccia dell’artista, conservata accuratamente e sigillata in degli scatoloni che ha voluto lasciarci.
Oggi le scatole sono esposte al Museo di Pittsburgh e che celino o meno il disturbo di accumulazione dell’artista, per altro impossibile da diagnosticare ai tempi, risulta essere un metodo alternativo ad evitare, almeno in parte, l’ingombro di tutti quegli oggetti che sono passati tra le mani dell’artista in tutta la sua vita.
Bibliografia:
Pani R. Non lo Butto. Come affrontare il disturbo da accaparramento compulsivo. Sovera Edizioni.
http://www.ocfoundation.org/hoarding/about.aspx (International OCD Foundation)
www.wikipedia.com
Il disturbo da accumulo a cura di Perdighe C. e Mancini F. Raffaello Cortina Editore
American Psychiatric Association, DSM 5 Criteri Diagnostici, Raffello Cortina Editore, Milano 2014
Fotografie:
www.ipsico.it