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Il dolore cronico e la necessità nel Sistema Sanitario di "umanizzarlo"



Il dolore si sa è un'esperienza negativa per ognuno di noi. Un fastidio, una preoccupazione, una spina nel fianco e all'inizio non ci importa che significato ha... il nostro primo obiettivo è ELIMINARLO.


Tutti noi facciamo esperienza del dolore, chi più chi meno, sappiamo che fa parte della nostra esistenza e abbiamo strumenti per affrontarlo, come i farmaci.


Il problema si crea quando il dolore diventa una condizione permanente, come nelle malattie oncologiche o neurologiche.


Quanti tipi di dolore esistono?


Sostanzialmente possiamo identificare tre tipi fondamentali di dolore:

Dolore Acuto: ha una funzione di allarme e proprio per questo è in qualche modo accettato dalle persone perché è un "segnale d'allarme", anche se quando si presenta vogliamo solo che finisca presto. Tuttavia ha per noi ha una connotazione positiva: ci avverte che qualcosa non va e comunque ha un suo tempo. Una volta eliminata la causa anche il dolore finirà.




Dolore Cronico: è una condizione che permane nel tempo, spesso accompagna una patologia già cronicizzata e quindi viene vissuto come inutile. "Perché proprio a me? Sono malato è vero ma perché aggiungere altra sofferenza?". E' una condizione capace di stroncare le resistenze della persona, che modifica il suo stile di vita (perdita di sonno, di appetito, di autonomia, riduzione delle capacità lavorative o sociali) e genera ansia, angoscia, depressione e in alcuni casi aggressività e rabbia. Ce la prendiamo con la vita, con la divinità, con i medici o i familiari che non riescono ad aiutarci.



Intermittente: può essere caratterizzato da ripetute manifestazioni di dolore acuto o come variante del dolore cronico (intervalli sintomatici alternati a periodi liberi dal dolore). Pensiamo ad esempio alla cefalea a grappolo. Spesso sottovalutato ma forse è più invalidante e drammatico perché è disordinato nella sua manifestazione, è irregolare sia nella frequenza che nell'intensità e porta la persona a vivere con la paura costante che si possa presentare da un momento all'altro. E' una condizione che blocca la persona nella sua progettualità. "Non posso andare a quella cena", "Non posso fare quel viaggio?", "E se mentre sono lì ho un attacco? Che figura, non posso farlo". C'è da dire che molte persone sviluppano una capacità di gestire la loro condizione, imparano ad accettarla e individuano strategie per affrontarla. Ma non è sempre facile e comporta comunque un grande sforzo di organizzazione nella quotidianità.

Perché è importante riflettere sul dolore? Perché quando diventa cronico o intermittente ha gravissimi effetti sulla qualità di vita della persona. Diversi studi dimostrano che in caso di dolore cronico le attività lavorative di oltre il 40% dei pazienti risultano compromesse. Almeno una persona su cinque perde il proprio impiego a causa del dolore; altri perdono in media più di 15 giorni all'anno di lavoro. Una condizione che genera poi disturbi d'ansia e depressione. Quest'ultima è legata spesso all'impossibilità di vivere la propria quotidianità e sente di aver perso molto di ciò che ha costruito.


Oltre la dimensione fisica del dolore.


Oggi il concetto puramente biomedico del dolore è stato superato: non esiste più la distinzione tra un dolore fisico e un dolore psichico.

Il dolore non è una semplice reazione biochimica ed organica, ma è una modalità psichica di sentire, valutare e reagire. Ha un impatto fortissimo sulla nostra qualità di vita e al dolore fisico oggi sappiamo che possiamo associare il concetto di sofferenza.

Attenzione, c'è differenza tra dolore e sofferenza: quest'ultima riguarda l'interpretazione che diamo all'esperienza dolorosa che viviamo, e questa interpretazione può portare ad ansia e depressione, all'isolamento o alla rabbia. Sono due concetti diversi ma strettamente legati: quando c'è dolore, c'è sofferenza. E se il dolore è una condizione che non possiamo cambiare, la sofferenza invece possiamo imparare ad affrontarla, gestirla e ridimensionarla.


Proviamo dolore grazie a:

  • Sensazione: lo stimolo doloroso passa dai recettori al cervello attraverso i fasci nervosi.

  • Percezione: nel cervello avviene il riconoscimento dello stimolo come doloroso. Il dolore diviene un'esperienza cosciente.

  • Appercezione: coincide con l'accorgersi di percepire dolore. Implica una componente emotiva legata alle nostre esperienze passate di dolore. "Che dolore sto provando?", "Perché?" "Davvero mi sta accadendo?". È qualcosa di intuitivo quasi, immediato.

Il dolore ha anche dei tempi che ne influenzano l'intensità con cui viene vissuto:

  • Il dolore ha un passato: quali esperienze abbiamo di dolore? Il confronto con queste esperienze può rassicurarci o al contrario allarmarci. "Non ho mai provato una cosa simile" "Questa volta non passa" "L'antidolorifico non funziona".

  • ha un presente: la reazione presente al dolore che stiamo provando e che è influenzata dall'esperienze passate e anche da cosa ci aspettiamo per il futuro. "Cosa avrò?" "Passerà?" "Si ripresenterà?"

  • ha un futuro: quando proviamo dolore ci preoccupiamo immediatamente di alleviarlo ma se non passa cominciamo a pensare a cosa accadrà.

Questi aspetti ci fanno capire che ognuno vive il dolore a modo suo. E' importante non sminuire ciò che sente una persona perché per lei può essere un'esperienza molto più intensa rispetto a quanto noi possiamo pensare. Il dolore va rispettato.


Il dolore ha tante dimensioni che lo rendono un'esperienza complessa


Il dolore ha sicuramente tre dimensioni che dobbiamo considerare per comprenderlo e soprattutto accettarlo:

  • Dimensione fisica: è legata alla trasmissione organica dello stimolo, ai nostri recettori e vie neurologiche ma anche a livello fisiologico ognuno di noi ha una soglia diversa di percezione del dolore, o meglio dei diversi tipi di dolore. Ad esempio ci sono persone che sopportano meglio il dolore derivante dal freddo eccessivo rispetto a quello da ferita e viceversa.

  • Dimensione motivazionale-emotiva: è legata alle nostre reazioni psicologiche all'esperienza dolorosa: ci mette in apprensione? ci motiva a superarlo? ci deprime? ci innervosisce?

  • Dimensione cognitiva: è legata alla nostra valutazione ed interpretazione dell'esperienza dolorosa e riguarda anche la nostra proiezione nel tempo: siamo in grado di far tesoro della nostra esperienza per gestire quelle future?

Il dolore ha molti aspetti psicologici importanti che i professionisti della salute, ma in realtà tutte le persone dovrebbero conoscere per assistere al meglio una persona che soffre a causa del dolore (pensiamo alle patologie oncologiche o croniche ad esempio). Tali aspetti psicologici sono:

  • attenzione: è la capacità di focalizzarci (consapevolmente e non) su determinati stimoli, anche su quelli "interni" provenienti dal nostro corpo. Il dolore è un fattore estremamente potente nell'influenzare la nostra attenzione e metterci "all'erta".

  • memoria: le esperienze che abbiamo avuto del dolore condizionano il nostro presente e rappresentano un termine di confronto rispetto al grado e tipo di dolore che stiamo provando. Può aumentare la nostra apprensione o al contrario rassicurarci, oppure può motivarci a fare qualcosa.

  • motivazione: quanto la nostra motivazione influisce sulla nostra reazione al dolore? Pensiamo a situazioni estremamente drammatiche, come un grave incidente o un episodio di guerra... quanto saremmo in grado di sopportare il dolore pur di salvarci o salvare i nostri cari? Pensiamo al dolore del parto... è un'esperienza molto intensa eppure la sopportiamo.

  • ansia e depressione: sono due tipiche condizioni psicologiche in caso di dolore cronico, non necessariamente rappresentano un vero disturbo ma anche in forma lieve sono presenti. Spesso sono legate all'incertezza per il futuro, alla percezione che la propria vita è cambiata, che si deve dipendere da qualcun altro; il dolore cronico può compromettere la propria vita lavorativa, familiare e sociale. Inoltre sia l'ansia che la dimensione depressiva amplificano la percezione del dolore: un dolore che in una condizione psicologica ottimale riusciamo a sopportare ed affrontare, in una condizione di ansia o depressione diventa insopportabile. L'ansia e la depressione, anche lievi, abbassano la nostra soglia di resistenza.

  • esiti del processo di condizionamento: l'essere umano si sa è un essere sociale e apprende nel tempo le norme e i valori del contesto socio-culturale cui appartiene, così accade che in alcune culture diventa importante non manifestare il dolore e in altre invece assume una sua dignità. Inoltre possiamo dissimulare e non mostrare dolore a causa del ruolo sociale o istituzionale che ricopriamo, pensiamo al Papa che nonostante il dolore acuto alla gamba continua nel suo operato e nel rispettare i suoi impegni. Ci sono poi dei condizionamenti sociali quasi radicati in noi: da sempre ad esempio abbiamo l'immagine dell'uomo che meglio tollera e affronta il dolore; la frase "sei una femminuccia", detta bonariamente, nasconde però questo aspetto.

  • caratteristiche di personalità: la personalità si sviluppa nel tempo dall'interazione tra fattori biologici-temperamentali, psicologici e sociali e le esperienze plasmano in qualche modo alcune caratteristiche della nostra personalità determinando soglie diverse di tolleranza e reazione al dolore, alla sofferenza e alla frustrazione.


Perché è importante conoscere e accogliere il dolore?



Proprio per gli aspetti psicologici del dolore che abbiamo descritto è importante rispettare il vissuto della persona che soffre: il dolore non va mai dato per scontato, anche quando accompagna una patologia cronica che conosciamo e che ci porta a rassegnarci al fatto che la persona comunque dovrà convivere col dolore. Anzi, proprio perché dovrà conviverci diventa essenziale non giudicarlo ma comprenderlo e rispettarlo.

Il dolore non è solo un accessorio, una sciagura che è capitata ma è qualcosa che cambia profondamente la persona, la sua qualità di vita, le sue relazioni, la sua quotidianità.

Diventa centrale quindi intervenire non solo farmacologicamente ma anche psicologicamente. L'obiettivo è di dare sostegno alla persona e alla sua famiglia; ma l'intervento psicologico è fondamentale anche per aumentare la compliance del paziente al trattamento che deve seguire. Per compliance si intende l'aderenza al trattamento e non è un fattore trascurabile perché spesso le persone hanno difficoltà a seguire e terminare i trattamenti prescritti a causa degli effetti collaterali dei farmaci, della necessità di cambiare lo stile di vita e le proprie abitudini.

Quello che spesso sottovalutiamo è proprio l'aspetto psicologico delle diagnosi e cure mediche: già dal momento della diagnosi subentrano dei fattori psicologici di vitale importanza: la persona assume il "ruolo del malato", ciò significa che oltre alla malattia organica sente il peso di ciò che lo attende. Tutto cambia: magari non potrà più svolgere alcune attività, dovrà abbandonare alcune abitudini (e noi sappiamo quanto sia difficile cambiare un'abitudine!), ci si aspetta che si comporti come un malato e cioè che segue le prescrizioni alla lettera e faccia di tutto per guarire. In alcuni casi diventa necessario rinunciare al proprio lavoro o ad altri progetti. Quanto può far soffrire tutto questo?

Ci stupiamo se la persona dopo una diagnosi o l'inizio di una dura convivenza con il dolore si deprime? si arrabbia o si allarma?


Il dolore e l'importanza di umanizzare l'assistenza sanitaria


Il dolore oncologico è l'esempio più eclatante di dolore cronico ed è fortemente invalidante perché può portare a stanchezza, perdita del proprio status sociale e della propria posizione lavorativa, anche del proprio ruolo in famiglia (pensiamo ad un padre che è costretto a letto e viene accudito da moglie e figli), cambia anche la situazione economica. A tutto questo si aggiunge la paura del futuro, la sensazione di aver perso il controllo del proprio corpo, che diventa un oggetto nelle mani di altri.

Il medico di base in genere si pone al centro di una vera galassia che vede coinvolti il paziente e la sua famiglia, altri operatori socio-sanitari e le strutture sanitarie.

Cosa accade spesso all'interno dell'ospedale? che manca la comunicazione. I pazienti e le loro famiglie non hanno una figura di riferimento e spesso si sentono "sbattute" da una parte all'altra, con tempi di attesa lunghissimi e difficoltà a relazionarsi col personale medico.

I medici e gli operatori sanitari svolgono una santa professione e anche loro sono spesso vittime della loro vocazione: di fronte alla malattia, al dolore e alla morte possono sentirsi impotenti, in colpa e perdono la motivazione e allora si difendono come possono: l'atteggiamento freddo e distaccato o in alcuni casi, aggressivo è spesso una difesa nei confronti di questi vissuti.

Per questo è fondamentale il supporto psicologico all'interno dei reparti, non solo per pazienti e famiglie ma anche per il personale.

Perché il medico cura le malattie è vero, ma di fronte ha persone, molto più complesse di un insieme di segni e sintomi. A volte un sorriso, una frase rassicurante, un minuto in più speso per una battuta valgono molto per una persona sofferente.


"La cura degli altri, la cura del mondo, dell’ambiente… il Taking-Care deve diventare la vera strada politica del nuovo secolo che avanza" (Patch Adams)


Bibliografia:

  • M. Tenty, P. Gremigni, "Il dolore cronico come esperienza biopsicosociale", 2017

  • L. Zanus, E. Leone, "L'approccio psicologico al dolore cronico", 2008

  • E. Molinari, G. Castelnuovo, "Psicologia clinica del dolore", 2010



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