L’inserimento a scuola. Due modelli a confronto.

Partiamo da un’esperienza donataci da una mamma durante l’inserimento della propria figlia in un asilo nido privato.
“Ho iscritto la mia bambina all’età di 4 mesi presso un nido privato, in quanto io e mio marito, lavorando, non potevano assentarci più dal nostro posto di lavoro.
L’inserimento ha portato con sé delle forti emozioni sia in me, in quanto rappresentava il primo distacco da mia figlia, sia in lei, che è stata sempre abituata ad avere la mamma presente.
Nello stesso periodo, mio marito per esigenze lavorative è stato costretto ad andare all’estero per svariati mesi e, con enormi difficoltà, ci siamo imbarcate da sole in questa nuova avventura.
L’inserimento è durato relativamente poco, i mesi proseguivano positivamente, la bambina era felice, regalandomi sorrisoni al mattino quando la salutavo prima di andarmene e quando ritornavo per riprenderla.

Le paure man mano svanivano.
Si è iniziato ad avere regolarità in famiglia e sul posto di lavoro, che non è poco!
Dopo poco più di un anno, purtroppo, il nido ha chiuso e si è riaperta la problematica di una nuova iscrizione, un nuovo inserimento e la conoscenza della nuova struttura e delle educatrici.
La bambina ormai aveva poco meno di due anni e doveva affrontare ugualmente un nuovo inserimento, io rimanevo nuovamente senza mio marito, impegnato fuori città per lavoro, e senza avere dei parenti vicini.
La nuova struttura chiedeva un minimo di due settimane per l'ambientamento.
Ritornava nuovamente l’incubo a lavoro, dopo un’estate e con nidi chiusi per tutto agosto (ma non tutti vanno in ferie ad agosto per un mese intero!): come avrei fatto a seguire nuovamente mia figlia per tutto questo tempo? Come avrei fatto con le esigenze lavorative?
E' iniziata questa avventura facendo mezz’ora un giorno, un’ora il secondo, via via aumentando di un’ora al giorno la permanenza fino a due settimane e poco più.
Nel frattempo, dopo le poche ore trascorse presso il nido, si ritornava a casa e le mille telefonate dal posto di lavoro si susseguivano generando stress in me e di conseguenza anche nella bimba.
Ogni struttura specifica che l’inserimento viene attagliato al bambino e alle sue esigenze emozionali, ma in realtà risulta essere standard per quasi tutti i bambini generando forte sconforto all’interno delle famiglie a livello organizzativo”.
Esistono tante esperienze come quella sopra riportata e tante altre differenti con o meno problemi.
E’ arrivato, infatti, settembre e con questo mese moltissime famiglie si cimentano con l’ingresso a scuola dei propri figli: per alcuni sarà un ambientamento, per altri sarà la prima esperienza e quindi si tratterà di un vero è proprio inserimento.
La differenza infatti sta nel fatto che nel primo caso si tratterà di un processo che vede il “sistema-bambino” e l’ambiente che lo accoglierà adattarsi reciprocamente, seguendo strategie che favoriscono il distacco dai genitori e tenendo conto delle diverse complessità emotive e relazionali che si mettono in atto con questo cambiamento, mentre nel secondo caso sarà relativo all’ingresso del bambino in un ambiente già definito in cui si dovrà integrare.
L’educatore diventa la figura più importante di questo processo, perché può favorire un inserimento che vada incontro alle necessità emotive del bambino e della famiglia, creando una relazione sana e accogliente.
Quasi tutte le scuole propongono un inserimento/ ambientamento previsto dalle linee guida del Ministero dell’Istruzione, quindi un sistema già rotato e funzionale, ma allo stesso tempo numerose famiglie sono disperate da questo periodo per via dei tempi molto lunghi.
Come riportano gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia, adottati con decreto ministeriale del 24 febbraio 2022,: «Non è il bambino che deve adattarsi al contesto, ma è quest’ultimo che deve essere predisposto affinché il bambino possa ambientarsi, utilizzare tutte le proprie risorse e sviluppare tutte le proprie potenzialità».
Questo momento genera diverse frustrazioni sia negli adulti che devono staccarsi dai propri figli e della necessità di rientrare a lavoro ma anche e soprattutto nei bambini.
Sappiamo benissimo che ogni bambino ha i propri tempi in tutto ciò che viene proposto, questi cambiamenti potrebbero essere motivo di maggiore stanchezza o di frustrazione, che potrebbero comportare anche delle regressioni in alcune competenze già acquisite, per esempio: tornare a svegliarsi di notte, chiedere maggiore vicinanza ai genitori, saltare qualche pasto.
Questo articolo si propone di descrivere brevemente due metodi differenti circa questo momento, quello Italiano e quello svedese, al di là delle differenti fasce d’età e di conseguenza della differente maturazione raggiunta dal bambino.
Perché si è voluto metterli a confronto?
In Italia è ormai consolidato un inserimento che dura minimo due settimane, in molti regolamenti scolastici è persino esplicato e raccomandato con la conseguenza di enormi difficoltà da parte di alcune famiglie.
Molte famiglie, infatti, non sono residenti nelle città di origine, non hanno parenti vicini, alcune sono mono-genitoriali e gli orari e le situazioni lavorative non aiutano questo momento, che dovrebbe essere vissuto il più serenamente possibile.
Ma non solo, soprattutto chi lavora in grandi città sa benissimo che non tutti hanno casa e lavoro nella stessa zona, gli spostamenti vanno da circa 20 minuti a 1 ora, la scelta della struttura così diventa un motivo in più che genera stress con la domanda fatidica: "meglio iscriverlo/a vicino casa o vicino la sede di lavoro?".
Ogni caso, come ribadito, non è uguale ad un altro ma…
…Veramente c’è la necessità di questi inserimenti così lunghi che alcune volte sembrano gravare in modo inesorabile sulla vita quotidiana di genitori e di conseguenza anche dei bambini?
A questo punto vediamo e valutiamo i due approcci.
Il modello italiano
L’inserimento tradizionale, il più usato nei nidi italiani, dura circa due settimane.
Il bimbo frequenta il nido per qualche ora con il genitore e poi nei successivi giorni senza. Il lasso di tempo trascorso nella struttura aumenta di giorno in giorno, fino ad arrivare alla frequentazione dell’orario prestabilito.
Quali sono i lati positivi e negativi del modello tradizionale italiano?
Il punto di forza è che il bimbo, per le prime settimane, è sotto stress per un tempo minore, la gradualità temporale è meno faticosa per lui. Il lato negativo, oltre al lungo impegno per il genitore (due o più settimane), è che questo inserimento non consente al bambino di capire subito cosa lo aspetterà. Vive continui cambiamenti: un giorno la mamma sta con lui un’ora, un giorno di meno, quello dopo scopre che deve fare colazione senza la mamma, poi il pranzo e infine il riposino pomeridiano. Tutti questi cambiamenti gli impediscono di crearsi un’aspettativa che è invece facile e immediata nell’ambientamento in 3 giorni. Ogni giorno ha una novità.
Il modello svedese
L’inserimento in tre giorni arriva dal Nord Europa. Bambino e genitore trascorrono al nido la prima intera giornata insieme. Insieme esplorano l’ambiente, conoscono educatrici e bambini vivendo sempre uno a fianco dell’altra la routine giornaliera. Il secondo giorno l’educatrice di riferimento è vicino a mamma e bimbo e il terzo giorno il genitore “lascia fare qualcosa” all’educatrice, sempre stando a fianco del piccolo, ma un po’ in disparte. Il quarto giorno il genitore accompagna il bimbo al nido, lo saluta e va al lavoro.
I bambini acquisiscono in tre giorni familiarità con gli spazi del nido e con l’organizzazione temporale di quell’ambiente che hanno imparato a conoscere insieme alla mamma o al papà.
Quali sono i lati positivi e negativi del “modello svedese”?
Il punto di forza è che consente al bambino di conoscere esattamente la routine dell’asilo insieme al genitore. C’è tutto il passaggio della giornata insieme alla mamma. Per il piccolo vedere la mamma agire in quell’ambiente è rassicurante e questo velocizza l’ambientamento. In più anche la figura di riferimento si tranquillizza, testando in prima persona l’ambiente e le persone con cui lascia il figlio. Il lato negativo è che il bimbo resta subito al nido in un orario compreso dalla mattina alle 08:00 circa fino a tutto il pomeriggio e questo ha per lui un alto costo energetico. Fa fatica a stare tutta la giornata all’asilo e con questo modello di inserimento lo stress è da subito alto.
E Voi cosa ne pensate?
Quale approccio preferireste tra i due?
Fateci sapere la vostra esperienza.
Bibliografia
A. Bortolotti, Poi la mamma torna. Gestire il distacco senza sensi di colpa, Mondadori, Milano, 2017
C. Bove, Accogliere i bambini. Le culture dell’ambientamento nei servizi educativi, Carocci Editore
E. Catarsi, A. Fortunati, Educare al nido. Metodi di lavoro nei servizi per l’infanzia, Carocci Editore
I. Filliozat, Le emozioni dei bambini, Pickwick, Milano, 2014
S. Mantovani, L. Restuccia Saitta, C. Bove, Attaccamento e inserimento. Stili e storie delle relazioni al nido. Edizioni Franco Angeli
Ministero dell’Istruzione, “Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia”, adottati con decreto ministeriale del 24 febbraio 2022.