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La ruminazione: la mente che rincorre sé stessa

Aggiornamento: 25 ott 2022


I pensieri si susseguono senza sosta, aggrovigliandosi su loro stessi e rincorrendosi in un loop di frasi sempre uguali, di domande senza risposta. Ad ogni passaggio degli eventi nella mente, si rivive tutta la sofferenza, la vergogna, la rabbia. "E se avessi detto così...? E se avessi fatto questo e non quell'altro...?", Perché capitano tutte a me?", Perché mi ha lasciato?", "Perché sono stata licenziata? Sono un'incapace", "Devo avere qualcosa che non va".

A tutti è capitato di commettere un errore o subire un’ingiustizia, perdere una persona cara o qualcosa a cui tenevamo molto, soffrire per questi motivi ed entrare in un circolo vizioso di pensieri ricorsivi che ripercorrono cosa è accaduto, cosa abbiamo detto o fatto e cosa potevamo dire o fare di diverso e quali sono le ragioni che crediamo alla base del nostro stato. Questa modalità di pensiero è detta ruminazione. Come un bovino che rimastica il cibo più e più volte, la persona che rumina "rimastica" sempre gli stessi pensieri e rivive le stesse emozioni, senza la capacità di interrompere questa specie di disco rotto mentale.


La ruminazione è quindi caratterizzata da una catena di pensieri e domande dal carattere generico e astratto che si presentano in maniera ripetitiva e che ruotano attorno al proprio stato emotivo negativo e ai presunti motivi che lo hanno causato, aumentando lo stato d’animo negativo stesso e ulteriori atteggiamenti pessimistici. La persona in preda alla ruminazione continua così a riflettere sul suo stato – di tristezza, di rabbia, di sofferenza, di vergogna -, sugli eventi che lo hanno causato e su come questi potevano svolgersi differentemente, su cosa è andato perso e sul susseguirsi di micro-eventi che si sono concatenati portando al risultato finale, al punto da rendere impossibile fermare il riavvolgersi del nastro e da accusare difficoltà nel dormire o nello svolgere altre attività. Le domande che si pone sono del genere “Perché è successo proprio a me? Dove ho sbagliato? Perché mi sento così?”, senza che le eventuali risposte riescano a placare una nuova ondata delle stesse domande.


La differenza con la preoccupazione e con i pensieri ossessivi


La ruminazione si distingue da altre modalità di pensiero simili e a volte compresenti. Essa è diversa innanzitutto dalla semplice preoccupazione per un evento futuro il cui esito è percepito come incerto (ad esempio continuare ad immaginare come si svolgerà un colloquio di lavoro che dovremo sostenere a breve per cercare di placare l’agitazione che ne deriva), infatti al contrario si concentra sullo stato emotivo attuale e sugli eventi passati che lo hanno causato.

Diversi ancora sono i pensieri ossessivi, i quali hanno come caratteristiche la non volontarietà e la qualità dei contenuti che la persona stessa giudica come “sbagliati”, intrusivi e talvolta disturbanti (un esempio sono pensieri e immagini mentali che, come flashback, inondano la mente di una persona che ha vissuto un trauma e che gliene ripropongono il ricordo). La ruminazione, invece, almeno inizialmente, è un processo mentale volontario i cui contenuti non disturbano il soggetto: è la persona stessa che decide all’inizio di riflettere in maniera così analitica e ripetitiva e di porsi domande su domande, perché reputa questo comportamento utile e necessario; solo in un secondo momento la ruminazione diventa uno stile di pensiero che si attiva automaticamente, diventando quindi difficile da fermare.


Ma perché una persona dovrebbe lasciarsi trasportare volontariamente da questi pensieri ridondanti? Quale utilità potrebbe pensare di ricavarne?

Come detto inizialmente, la ruminazione è una modalità di pensiero in cui tutti siamo caduti almeno una volta nella vita. Essa è vista come una possibile strategia di coping, ossia di fronteggiamento di situazioni problematiche o stressanti, e in effetti ha una sua ragion d'essere all'interno di un funzionamento adattivo dell'essere umano al suo ambiente. E' piuttosto intuitivo che ripensare ai propri errori, rivedere gli avvenimenti che hanno portato ad una perdita o ad un fallimento possa essere utile per prepararsi meglio ed evitare situazioni analoghe in futuro, e in parte è davvero così. Per alcuni però la ruminazione diventa uno stile di pensiero rigido, abituale e cronico, dal quale però non ottengono dei reali vantaggi pratici e delle conclusioni utilizzabili poi nella vita concreta e nella regolazione delle azioni future.

Alcuni studiosi infatti distinguono tra una ruminazione costruttiva ed adattiva e una ruminazione non costruttiva e disadattiva. Nella prima, i pensieri sono di tipo concreto, si concentrano sulle azioni, mentre nella seconda i pensieri sono negativi, astratti, giudicanti e si concentrano sui significati degli eventi intercorsi. Nella prima, un pensiero tipo potrebbe essere “Cosa posso fare per affrontare questa situazione?”, generando quindi un orientamento al problem solving, mentre nella seconda si trovano più pensieri del tipo “Perché le cose mi vanno sempre male?”, formulando generalizzazioni e assunzioni negative su di sé, sul proprio valore e sulle proprie capacità e causando uno stato d'animo ulteriormente negativo e un orientamento pessimistico. Ecco quindi che se la prima, la ruminazione adattiva, permette di proseguire in un ragionamento concreto che attiva azioni costruttive, la seconda, quella disadattiva, apre a un circolo vizioso di domande senza risposta e pensieri svilenti di sé che si autoalimentano e facilitano la possibilità che diventi una modalità di pensiero fissa.


La ruminazione come fattore comune a molti disturbi


Quando la ruminazione cessa di essere una strategia costruttiva, entra in gioco nel mantenimento e nell’aggravamento di diversi disturbi psichici. Essa è ormai considerata in psicopatologia come un fattore trasversale a diverse diagnosi, dalla depressione e i disturbi dell’umore in generale, al disturbo da lutto complicato, ai disturbi d’ansia, al disturbo post traumatico da stress fino ai disturbi del comportamento alimentare, che contribuisce a mantenere e ad aggravare a causa del fatto che genera circoli viziosi difficili da interrompere.

In questi casi la ruminazione diventa un continuo monitoraggio anche dei propri sintomi, un’attenzione iperfocalizzata sui propri stati interni e una continua riflessione sui motivi del proprio malessere, da cui si ricavano assunzioni negative su di sé e sul proprio valore e valutazioni pessimistiche sul mondo e sul futuro. Molti studi hanno inoltre evidenziato come la presenza di uno stile ruminativo si associ a una difficoltà maggiore di remissione da questi disturbi e a una più alta possibilità di ricadute nel futuro.


Quali sono questi circoli viziosi che si instaurano e si mantengono grazie alla ruminazione, alimentandola a loro volta?


1. Evitamento - Alcune teorie vedono la ruminazione come una strategia di evitamento di emozioni e situazioni fonte di ansia o sofferenza. Cosa significa? La persona che si focalizza sulle continue riflessioni e domande sul suo stato di malessere e sulle cause che lo hanno prodotto tenderà ad evitare tutte quelle esperienze che, secondo la sua percezione e i suoi timori, la porteranno a rivivere nuovamente l’evento fallimentare o di perdita iniziale e i conseguenti stati emotivi spiacevoli. Così facendo, però, non potrà nemmeno accedere a tutte quelle esperienze che invece potrebbero disconfermare i suoi timori e soprattutto apportare stimoli esterni in grado di distrarre dai pensieri ricorsivi e interrompere la ruminazione stessa;

2. Senso di impotenza – La ruminazione disadattiva, come abbiamo visto, è caratterizzata da pensieri e domande astratti, generici e svalutanti di sé, che non portano ad un realizzarsi di azioni concrete che potrebbero risolvere il problema e lo stato di malessere. Così facendo, la persona ricava un’immagine di sé di incapacità, impotenza e inettitudine che va a confermare i pensieri auto-svalutanti da cui deriva un’ulteriore ruminazione negativa sul proprio stato;

3. Mancanza di energia mentale – La ruminazione è un’attività mentale che risucchia notevoli quantità di energia mentale, rende difficile concentrarsi, interferisce con le capacità mnemoniche e con l’attenzione, riducendo così tutte le funzioni cognitive superiori. A causa di questo, la persona risulta distratta, poco concentrata e affaticata, esponendosi molto più facilmente ad ulteriori errori e fallimenti nel lavoro, nello studio, nello sport e in generale nelle attività quotidiane, ricavando così un’immagine di sé ulteriormente fallimentare che andrà nuovamente ad alimentare la visione negativa di sé;

4. Difficoltà relazionali – Sempre a causa dell’enorme dispendio energetico derivante dalla ruminazione, il “ruminatore” tende ad essere poco presente emotivamente e cognitivamente anche all’interno delle relazioni perché continuamente distratto dal flusso di pensieri ricorsivi e dall’umore negativo che ne deriva. Inoltre, la tendenza a ruminare si accompagna alla ricerca di sostegno, ascolto e consigli da parte delle altre persone attraverso però un’esternazione dei propri pensieri con uno stile ripetitivo e pessimistico che ovviamente ricalca il vissuto interiore. Questo atteggiamento però, purtroppo, difficilmente viene ben accolto dalle altre persone che tendono quindi a fermarlo o ad allontanarsi, andando a generare nel ruminatore vissuti di rifiuto, inadeguatezza sociale e solitudine che a loro volta confermano la sua percezione di disvalore e alimentano ancora una volta la ruminazione.


Come possiamo contrastare la ruminazione?


Quando riconosciamo di essere in preda ad un circolo vizioso di pensieri ridondanti e negativi che non ci portano ad una reale risoluzione del problema ma anzi aumentano il nostro stato d'animo negativo, ci sono alcune piccole accortezze che possiamo mettere in atto:


  • carta e penna alla mano, scriviamo tutto quello che ci attraversa la mente, senza filtri e senza preoccuparci della forma. Continuiamo finchè non sentiamo di aver messo nero su bianco tutto quanto. Solo a quel punto fermiamoci e distruggiamo il foglio in mille pezzettini, buttiamo tutto, alziamoci e facciamo qualcosa di pratico;

  • decidiamo coscientemente che ogni giorno dedicheremo, ad una certa ora, un certo numero di minuti (ad esempio, alle 4 del pomeriggio, per 10 minuti) alla ruminazione. Programmiamola come fosse un'attività qualunque della giornata, inseriamo un promemoria sul telefono e impostiamo un timer per il tempo deciso: sediamoci da soli e dedichiamoci alla ruminazione, ma solo per il tempo deciso. Scaduto quel tempo alziamoci e dedichiamoci ad altro o torniamo a quello che stavamo facendo prima;

  • facciamo un elenco di tutte quelle attività pratiche che amiamo o che comunque sappiamo avere il potere di fungere da stimolo distrattore (soprattutto se hanno una forte componente di scarica energetica fisica, come un lavoro manuale o lo sport) e ogni volta che saremo soverchiati da un attacco di ruminazione peschiamo da quell'elenco un'attività e dedichiamoci ad essa. Attenzione però, deve trattarsi di uno stimolo distrattore costruttivo: stimoli passivi come il semplice fare zapping alla TV, o peggior ancora stimoli distruttivi come l'assunzione di alcol, droghe o cibo non possono funzionare come strategie di distrazione dalla ruminazione;

  • allenarsi a pratiche di meditazione, training autogeno o mindfulness che permettano di rallentare il flusso di pensieri costante e facilitino un'attenzione benevola e non giudicante verso sé stessi;

  • allenarsi a orientare il pensiero alla ricerca di soluzioni concrete invece che alla ricerca di significati. Si può utilizzare ad esempio la tecnica del brainstorming, meglio ancora se insieme a qualcun altro, durante la quale si esprimono di getto le soluzioni più disparate e si discute insieme dei pro e dei contro e della fattibilità della soluzione proposta.

Se invece sono presenti disturbi di tipo psichico o se si teme che la ruminazione accompagni e aggravi un disturbo depressivo o d'ansia o di altro tipo, è necessario chiedere un aiuto di tipo professionale. E' la psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale quella più adatta, perché permette di lavorare sulle credenze cognitive che mantengono attiva la tendenza alla ruminazione e di esplorare strategie cognitive alternative anche attraverso l'esecuzione di esercizi e veri e propri "compiti a casa".


Bibliografia:

  • Ferrante F., Ercolani G., Il dolore della perdita. La ruminazione mentale nel lutto, in State fo Mind, 2020 (https://www.stateofmind.it/2020/12/lutto-ruminazione/).

  • Caselli G., Giovini M., Psicopatologia cognitiva della ruminazione, in Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 17, 2, pp. 159-171.

  • Trincas R., Couyoumdijan A., La ruminazione depressiva, in Rainone A., Mancini F. (a cura di), La mente depressa, Franco Angeli, Milano, 2018, pp. 112-126.

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